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A due anni dal blitz di Salvini, nuovo sgombero al palazzo di via Costi: "Nessuna alternativa dal Comune"

Degli oltre 60 occupanti presenti fino a sabato scorso, questa mattina la polizia ha trovato solo due persone. La denuncia di Medici senza frontiere e Nonna Roma: "Questo è il fallimento del sistema d'accoglienza"

È stato il primo sgombero della Capitale dell’era di Matteo Salvini al Viminale. Il 7 settembre 2018. “Abbiamo disinnescato una minaccia”, le parole che aveva usato la sindaca Virginia Raggi. A distanza di due anni e mezzo, la stessa palazzina di via Raffale Costi, a Tor Cervara, è andata incontro a un nuovo sgombero. Questa volta, lontano da telecamere e attenzioni politiche e senza alcuna pianificazione preventiva tra forze dell’ordine e Comune di Roma in merito alle alternative abitative e assistenziali da offrire ai presenti.  

I blindati della polizia sono arrivati pochi minuti dopo le 8, per quella che, tecnicamente, secondo quanto appreso da Romatoday, è stata un’operazione di supporto alla messa in sicurezza dello stabile da parte della proprietà. Un supporto finalizzato a un eventuale sgombero, dal momento che quei quattro piani di appartamenti non terminati, abitati fin dal 2015 e già ‘svuotati’ oltre due anni fa dalle forze dell’ordine, nel tempo, sono stati rioccupati. Ci abitavano soprattutto migranti rimasti esclusi dal circuito dell’accoglienza e fuggiti da altri sgomberi simili.

Le organizzazioni umanitarie che hanno lavorato con gli ospiti dello stabile nei mesi scorsi hanno parlato di condizioni di vita non dignitose. Un particolare su tutti: gli abitanti non avevano accesso all’acqua corrente o all’elettricità. Il 9 aprile, inoltre, un ragazzo di 28 anni originario del Gambia è stato trovato morto all’esterno della palazzina, senza evidenti segni di violenza. Una tragedia che ha “scosso molto i residenti”, la testimonianza di Medici senza frontiere, che  da mesi assiste alcuni occupanti, e che ha anche riacceso l’attenzione della proprietà e delle forze dell’ordine sulle condizioni dello stabile.

Secondo quanto apprende Romatoday, presente sul posto, l’informazione relativa all’operazione è circolata nelle scorse ore. Così questa mattina, all’arrivo delle forze dell’ordine, al suo interno sono state trovate solo due persone. La sala operativa sociale, mobilitata d’urgenza nonostante l’operazione fosse pianificata da giorni, ha fatto sapere ai presenti di non avere soluzioni alternative a disposizione.

“Negli ultimi mesi lo stabile è stato abitato da un numero di persone che oscilla tra le 60 e le 100 unità”, racconta Francesca Zuccaro, responsabile dei progetti di Medici senza frontiere a Roma. “La maggior parte di loro proveniva da altri insediamenti sgomberati, da via Vannina all’ex fabbrica della Penicillina. Continua così quel circolo infinito di sgomberi che danno vita ad altri insediamenti che a loro volta danno vita ad altri sgomberi, cosa che accadrà anche adesso dal momento che le persone presenti sono fuggite in altri luoghi simili, se non peggiori dal punto di vista delle condizioni di vita”.

Medici senza frontiere segue da mesi alcuni degli occupanti della struttura in quanto, tra loro, erano presenti diversi casi di vulnerabilità dal punto di vista sanitario. “Ora dovremo cercare di rintracciarli nuovamente per essere sicuri che non diventino ancor più invisibili e lontani dai servizi sanitari ai quali stavamo tentando di farli accedere”. Per Zuccaro, “la storia di questo stabile rappresenta il fallimento delle politiche di accoglienza. Le persone segnalate non vengono ricollocate, e quando accade servono tempi molto lunghi. Nessuno difende occupazioni come queste, ma non possiamo dimenticare che le persone fuggite da qui si sono trasferite in un luogo simile, se non peggiore”. 

Sul posto anche l’associazione Nonna Roma, che domenica 16 maggio avrebbe dovuto effettuare i tamponi per il Covid-19 a tutti i presenti. “Siamo stati qui sabato per prendere contatti con i residenti, ma purtroppo questo progetto non si potrà mettere in atto”, spiega Albero Campailla, presidente di Nonna Roma. “Ancora una volta, siamo costretti a denunciare uno sgombero senza soluzioni. Ancora una volta, la Sala operativa sociale (Sos) del Comune è stata chiamata d’urgenza e solo grazie alle pressioni delle associazioni”.

La stessa denuncia era scattata in seguito allo sgombero del seminterrato del Selam Palace, a Romanina, dove vivevano circa 70 persone. Quel giorno la Sos non era nemmeno presente e tutti gli sgomberati sono finiti per strada. Nonostante le proteste che sono seguite, e l’incontro con l'assessora al Sociale, Veronica Mammì, il dipartimento non ha ancora fornito alcuna risposta. “Il modello di gestione dell’accoglienza in questa città è decisamente peggiorato. A sgombero avvenuto non c’è certezza nemmeno in merito alla collocazione delle uniche due persone ritrovate”. 

Patrizia Sterpetti, della Women's International League for Peace and Freedom, segue da tanti anni le storie di molti ragazzi migranti che vivono in insediamenti informali nella zona est della città. “Quasi tutti hanno problemi legati a permessi scaduti e sono in grave difficoltà a comprendere le procedure per risolvere la propria situazione o a mantenere contatti con il proprio avvocato. Il problema è la carenza di posti di accoglienza e l’inadeguatezza delle risorse umane al lavoro per le istituzioni nel campo delle risorse umane”.

L’operazione si è conclusa intorno alle 9.30 del mattino, senza momenti di tensione e senza l'interesse delle istituzioni, se non per i due operatori sociali giunti sul posto senza nulla in mano. Le due persone trovate sul posto sono state portate presso l’ufficio immigrazione per l’identificazione con la prospettiva, secondo quanto emerso sul posto, di essere rilasciate. Tutte le altre si sono dileguate, probabilmente in un altro dei tanti stabili abbandonati della zona. Invisibili, fino al prossimo sgombero. 

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