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Valerio Valeri

Giornalista

Per Roberto Gualtieri la malamovida è colpa dei bengalesi

Fino al 6 marzo e solo nei weekend gli esercizi commerciali che vendono alimenti e bevande chiuderanno alle 22. Tutti gli altri proseguiranno a lavorare come sempre, fino alle 2

Alla fine la montagna ha partorito il topolino. Per settimane abbiamo scritto di quanto la movida malata, quella che non ha limiti e non ha nulla a che fare con il divertimento, stesse sequestrando i residenti di quartieri come Trastevere e San Lorenzo, tanto da spingerli a minacciare proteste clamorose come l'occupazione delle piazze. 

Per giorni la politica ne ha discusso, aprendo tavoli su tavoli che all'inizio della settimana che sta per finire hanno portato ad una mossa concreta: chiudere alle 22 i minimarket, dal venerdì alla domenica, fino al 6 marzo. Ci sono volute almeno tre riunioni con il Prefetto, con l'assessora alle attività produttive Monica Lucarelli, con le associazioni di commercianti e almeno in un'occasione anche con le due presidenti dei municipi I e II, Bonaccorsi e Del Bello, per prendere una decisione che non sposterà quasi nulla nell'economia del fenomeno che si ripete da anni ogni fine settimana (e d'estate tutti i giorni per tre mesi) e soprattutto colpisce su base etnica. 

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Sì, perché non è un segreto e basta girare nei quartieri coinvolti dall'ordinanza per verificarlo: a gestire la quasi totalità degli "esercizi di vicinato del settore alimentari e misto", come recita l'ordinanza firmata da Gualtieri il 3 febbraio sera, sono stranieri. Nordafricani, bengalesi, pakistani, indiani, quelli che vendono frutta e verdura, detersivi, scottex e carta igienica ma anche vino e birra, quest'ultima rigorosamente conservata in frigo così da rappresentare una "salvezza" per chi non la apprezza calda. 

Secondo i dati della Camera di Commercio, gli esercizi commerciali a Roma gestiti da cittadini stranieri sono passati da 871 nel 2019 a 1.092 nel terzo trimestre del 2021. Il 26,9% delle imprese nella Capitale non sono italiane. Per un terzo sono originari del Bangladesh e durante lockdown, coprifuoco e restrizioni anti-Covid hanno percepito la crisi in maniera molto meno forte dei colleghi nostrani, nonostante affitti che nelle zone centrali e della movida possono arrivare a 4.000 euro al mese. 

E allora si capisce bene perché le associazioni di commercianti (ristoranti, pub, bistrot, locali e altre tipologie di esercizi senza somministrazione) abbiano esultato alla notizia dell'ordinanza. Perché nessuno di loro viene coinvolto dalla (inutile) decisione del sindaco Gualtieri, che in questi primi 100 giorni di amministrazione di decisioni buone e difficili ne ha prese diverse, per esempio rispetto alla pulizia straordinaria della città e all'opera di potatura e messa in sicurezza del verde verticale a tappeto, ma sulla movida selvaggia sembra troppo timido. Forse perché eccessivamente tirato per la giacchetta da chi è convinto che il "pub crawling" (saltare da un locale all'altro per farsi uno shottino al volo) sia turismo enogastronomico e non un gioco divertente ma rischioso fatto dagli adolescenti per sballarsi. 

Al sindaco e a chi promuove una chiusura selettiva delle attività di somministrazione alcolici, vorremmo far presente che i giovanissimi che affollano le notti di San Lorenzo e Trastevere non avranno alcuna difficoltà a procacciarsi una bottiglia di vino, un cocktail, qualche birra. Le vie della movida, quando la si lascia diventare teppismo, sono infinite. 

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