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Caos affrancazioni al tempo della nuova legge, storia di un'acquirente: "La mia causa è ormai improcedibile"

Acquirenti pronti alla protesta: "Il 14 febbraio saremo in piazza davanti al Tribunale"

“Attorno all’acquisto di quella casa avevo progettato la mia vita: prima la convivenza, poi il matrimonio. E invece, a distanza di oltre tre anni dalla stipula del contratto preliminare, abito in affitto e tutto è ancora avvolto dall’incertezza”. Chiara è una delle acquirenti delle case costruite in uno dei tanti piani di zona della Capitale. O meglio, è una promissaria acquirente, perché per l’acquisto di quella casa Chiara ha firmato solamente il contratto preliminare e versato una ‘caparra’ da 51 mila euro. Il suo è uno dei tanti rogiti congelati dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione che il 15 settembre del 2015 ha messo nero su bianco che il prezzo massimo di cessione degli alloggi realizzati in regime di edilizia agevolata non si esaurisce con la prima compravendita.

Chiara, che aveva firmato un preliminare fissando un prezzo a libero mercato, ha così chiesto al giudice di poter concludere l'acquisto a canone vincolato. La sua richiesta, però, è stata giudicata “improcedibile” sulla base delle modifiche legislative apportate dal decreto fiscale di dicembre. Il suo caso, oltre a rappresentare uno dei primi rogiti rimasti incagliati negli effetti della sentenza della Cassazione, è destinato a diventare anche una delle prime cause ad essere bloccata per effetto delle decisioni del governo gialloverde. 

Sarà che la data della stipula del contratto preliminare non le ha portato fortuna: il 15 settembre 2015, un giorno prima della pubblicazione della sentenza della Cassazione che si è abbattuta come un terremoto sul mercato immobiliare romano dove, per anni, case acquistate a prezzi calmierati sono state rivendute sul libero mercato con differenze che hanno raggiunto anche i 300 mila euro. L’amministrazione comunale concedeva i nulla osta, i notai rogitavano. La sentenza della Cassazione ha invece stabilito che quell’interpretazione della legge era errata. Migliaia di persone avevano acquistato abitazioni che ora potevano rivedere a circa un terzo di quanto sborsato. 

Solo versando al Comune una sorta di tassa, l’affrancazione, si sarebbe potuto liberare l’immobile da tale vincolo. Ma in centinaia di casi, complici la lentezza dell’iter burocratico per ottenerle e il fallimento di un accordo tra le parti, acquirenti e venditori sono finiti in tribunale, con i primi decisi a richiedere indietro la differenza tra le due somme. 

Un problema sociale da risolvere per il Movimento cinque stelle che in Senato ha proposto e portato ad approvazione un emendamento al decreto fiscale nato proprio con l’intento di sgonfiare a monte la causa dei ricorsi. Con la nuova legge anche chi non è più proprietario dell’immobile può infatti affrancare. “L'eventuale pretesa di rimborso” si legge nell'emendamento “si estingue con la rimozione dei vincoli”. Ed è proprio quest’ultima modifica di legge ad aver determinato la sentenza di Chiara: “La riforma del regime di affrancazione dell'immobile per cui è causa assume specifica rilevanza ai fini della decisione”. 

La storia di Chiara inizia però nel 2015. “Io e il mio fidanzato avevamo intenzione di andare a vivere insieme così ho iniziato a cercare una casa da acquistare” racconta a Romatoday. “L’abbiamo individuata tramite un’agenzia, a Casal Fattoria, nella zona di Castel di Leva. Siccome alla proprietaria serviva ancora un po’ di tempo per entrare in possesso della sua nuova abitazione e io e il mio fidanzato non avevamo fretta, al momento del contratto preliminare abbiamo deciso di fissare il rogito vero e proprio a gennaio. Abbiamo versato una caparra da 51 mila euro. La casa sarebbe dovuta costare 172 mila euro totali”. 

Il giorno dopo la Cassazione pubblica la sentenza. Il mercato degli alloggi realizzati nei piani di zona viene travolto. “Io non sapevo che quella casa fosse soggetta al vincolo del prezzo massimo di cessione. Sapevo solamente che era stata costruita in diritto di superficie” ricorda Chiara. “Il caso sollevato dalla sentenza della Cassazione ha fatto scattare l'allarme. Così ho scoperto che l’alloggio che stavo per comprare a 172 mila euro sarebbe dovuto costare 102 mila euro. Abbiamo deciso di attendere per capire come si stava evolvendo la situazione. Ma i mesi passavano e, nonostante le mie richieste, non siamo più arrivati alla firma del rogito”. Nessun accordo tra le parti è stato raggiunto.“È stato allora che ho deciso di rivolgermi ad un avvocato per chiedere ad un giudice il rispetto del prezzo massimo di cessione”.

La storia si è trascinata per anni. “Un vero e proprio incubo. Attorno all’acquisto di quella casa avevo progettato il mio futuro: prima la convivenza, poi il matrimonio. Tutto appeso ad una soluzione che non è più arrivata. Per non farci travolgere del tutto, abbiamo deciso di guardare avanti e di andare a convivere lo stesso. A settembre ci siamo sposati, seppur con molto ritardo rispetto a quanto avremmo voluto. Ma siamo costretti a vivere in affitto, costantemente con una spada di Damocle sulla testa. Non solo perché ho già versato 51 mila euro per l’acquisto di quella casa. Come posso contrarre un mutuo per pagare un’altra abitazione senza sapere se poi, al termine della causa, sarò costretta a contrarne un altro per portare a termine quel rogito?”. 

La sentenza emessa il 25 gennaio scorso per Chiara “arriva come una doccia fredda”. Il giudice ha ritenuto la sua richiesta “improcedibile” proprio sulla base delle modifiche di legge introdotte a dicembre dall’emendamento pentastellato. L'ultima udienza sul suo caso si era tenuta qualche mese prima. “Occorre dare atto che il 19 dicembre del 2018 è entrato in vigore il decreto fiscale che ha apportato rilevanti modifiche sia al regime di affrancazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica sia al rapporto tra la procedura di affrancazione e la vendita di suddetti alloggi” si legge nella sentenza. 

A far prendere al giudice questa decisione il fatto che la proprietaria dell’immobile, già nell’ottobre del 2015, aveva avanzato richiesta di affrancazione al Comune di Roma. Ad oggi però l’iter non è ancora stato portato a termine e l’ammontare richiesto, circa 16 mila euro, non è stato versato nelle casse del Comune. La casa oggetto della sentenza è, di fatto, ancora vincolata al rispetto del prezzo calmierato. 

“Siamo decisi a ricorrere in appello contro questa sentenza” ha fatto sapere l’avvocato Antonio Corvasce. “La legge richiamata non è applicabile perché non abroga le precedenti norme che stabiliscono la nullità di compravendite compiute in violazione del prezzo massimo di cessione. E anche se fosse applicabile sarebbe incostituzionale: l’affrancazione si conclude con la stipula di un atto pubblico che va a modificare l’originaria convenzione. Come è possibile che chiunque possa affrancare un immobile di cui non è più proprietario? Sarebbe una violazione del diritto di proprietà. In questo caso l’improcedibilità non poteva essere assolutamente dichiarata, in quanto la novella normativa è addirittura posteriore alla data in cui la causa è stata trattenuta in decisione ed alla signora Chiara è stato negato il diritto processuale di potersi difendere sul punto. La norma non parla affatto di improcedibilità della domanda giudiziale come effetto della presentazione di una domanda di affrancazione. La Cassazione su questo è costante nel ribadire che in assenza di espressa previsione normativa una causa non può essere dichiarata improcedibile". 

“Il giudice ha dichiarato l’improcedibilità della domanda in quanto ha dato valore alla normativa sopravvenuta che ha previsto un percorso di affrancazione per liberare l’immobile dal prezzo imposto” ha spiegato l’avvocato Antonio Umberto Petraglia, difensore della controparte. “La mia cliente, già dal 2015, aveva attivato l’iter di affrancazione e il giudice ha valorizzato la volontà della promittente venditrice di rendere il bene commerciabile a prezzi di mercato. Ora, dobbiamo valutare l'impatto della decisione sulla fattispecie concreta. L'improcedibilità della domanda renderebbe necessaria, secondo me, una nuova citazione ad opera della promissaria acquirente, salvo che quest'ultima non voglia appellare. L'elemento importante di questa decisione (suscettibile di essere applicata anche in altri giudizi) è la considerazione dell'applicabilità  della recentissima normativa in materia anche ai giudizi pendenti e alle fattispecie in corso; consentendo quindi l'affrancazione dei vincoli e la conseguente commerciabilità a prezzi di mercato. Ciò potrebbe dare una svolta, in positivo, anche dell'annosa questione della finanziabilità, in via ipotecaria, del sistema bancario di questi alloggi”. 

Gli acquirenti sono pronti alla protesta: “Contro questa palese ingiustizia stiamo organizzando una manifestazione il 14 febbraio davanti al Tribunale per chiedere il rispetto dei principi costituzionali” spiega Giuseppe Di Piero, dell’associazione Area 167. “Sottolineo che questa sentenza ha decretato l’improcedibilità della domanda sulla base di un’istanza di affrancazione che non è stata versata, tanto che ormai quella richiesta è decaduta. Per portare a termine un eventuale nuovo iter ci vorranno anni. Perché Chiara dev’essere costretta ad aspettare ancora?”. 

Quel giorno in piazza ci sarà anche il comitato degli acquirenti nato dopo l'approvazione del decreto fiscale. "Saremo in piazza per manifestare tutto il nostro dissenso verso l'applicazione di questa legge che riteniamo profondamente iniqua" fanno sapere dal comitato. Lo slogan per quel giorno è #keyreturnday: "Restituiremo simbolicamente le chiavi di casa nostra al tribunale. Chiavi di abitazioni che hanno perso ormai il loro valore".

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