Gli animali del Cairo
Questa mostra, disarticolata in allegorie, metafore e invenzioni storiche, ha a che fare con i diritti umani. Oppure no. Forse. Leggetelo e deciderete. Una società di urbanisti, il cui fine dichiarato è di adattare la natura all'umanità, si trasforma in un Leviatano che vuole controllare buona parte del mondo e le sue risorse. Intorno ai progetti di questa società si agitano esistenze disordinate, frenetiche e dai comportamenti a volte indecifrabili (del resto, in una nota, l'autore ammette di essere talora incomprensibile e spera che i lettori, col passare delle pagine, si siano abituati). Ma quello che importa, il motivo per cui Amnesty International Italia ha sostenuto e patrocinato l'edizione italiana, è che è l'autore ad avere a che fare con i diritti umani. Con la loro violazione complessiva, che egli ha denunciato regolarmente nelle diverse, convulse fasi della rivoluzione del 2011 e della sua successiva brutale soppressione. E con la violazione, in quanto scrittore, dei suoi diritti fondamentali. Il 20 febbraio 2016 Ahmed Nàgi è stato condannato a due anni di carcere per "oltraggio al pudore", dopo che il sesto capitolo di questo libro era stato pubblicato sul periodico letterario egiziano Akhbar al-Adab. Ufficialmente, il processo era nato dalla denuncia di un privato cittadino sentitosi turbato dai continui riferimenti al sesso - con un linguaggio, questo sì, del tutto fuori di metafora - e alla droga. Leggendo il testo di Nàgi, il pover'uomo aveva provato "palpitazioni, un estremo senso di malessere e un improvviso calo della pressione sanguigna". Poi, dopo il proscioglimento in primo grado, la pubblica accusa ha deciso di trasformare l'indignazione del privato cittadino in indignazione dello stato, un malessere individuale in un malessere nazionale. Ed è scattata la condanna, contro la quale hanno per il momento invano preso posizione oltre 700 intellettuali egiziani e il PEN, che il 31 marzo 2016 ha deciso di attribuire a Nàgi il prestigioso "Premio Barbey Freedom to Write". Paradossale che un potere, quello del generale e poi presidente Abdel Fattah al-Sisi, che si era presentato come l'antidoto al "veleno" dell'islamismo politico e come il restauratore di un pensiero plurale, abbia sprigionato un oscurantismo dedito a ridurre sistematicamente al silenzio ogni voce critica. Dal luglio 2013 l'arte, la cultura, la critica, l'attivismo per i diritti umani, la ricerca (ce lo ricorda tragicamente l'omicidio a seguito di tortura di Giulio Regeni), sono sempre più sotto attacco. In Egitto è in corso una potente campagna contro la libertà d'espressione, e dunque contro la stessa Costituzione egiziana che all'articolo 67 tutela la libertà artistica e la creatività della letteratura. Ufficialmente, allora, la condanna è per sesso e droga (e, in molte altre pagine, non mancano fiumi d'alcool e rock and roll ad alto volume). Ma davvero qualche descrizione particolareggiata di coiti, rapporti orali e rollar di canne è la ragione di quelle "palpitazioni di stato" che hanno portato Nàgi in carcere? Sicuri che non ci sia dell'altro? In una meravigliosa scena di "Taxi Teheran", il regista iraniano Jafar Panahi e sua nipote discorrono di cosa l'arte (in quel caso, il cinema) possa rappresentare. Come si addice a ogni istituzione autoritaria, l'invito è a rappresentare il reale. Ma solo quando è bello. Il brutto non dev'essere mostrato, perché altrimenti si fa del "realismo sordido". "Vita: istruzioni per l'uso" descrive una Cairo triste, violenta, sporca, povera, putrida e cattiva dove gli uomini sono sudati, arrabbiati, puzzolenti, rissosi, in uno stato di perenne e irrisolta eccitazione sessuale. Si invoca più volte la sua distruzione come evento purificatore. Ecco di cosa, forse, Ahmed Nàgi è colpevole: di aver mostrato l'immostrabile. Di aver praticato il "realismo sordido".