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Venerdì, 26 Aprile 2024

L'opinione

Matteo Scarlino

Direttore responsabile RomaToday

Caro sindaco Gualtieri, sulla metro B ormai manca solo il morto

Sulla metro B ormai manca solo il morto. Chi ogni giorno usa la seconda linea metro della Capitale sa bene che questa frase non è il solito allarme di un giornalista a caccia di clic facili. Piuttosto è il grido disperato di tutti i romani costretti - sì, costretti perché se ci fosse un'alternativa la percorrerebbero - a sottoporsi ogni mattina ad un maltrattamento disumano. Dirà chi gestisce i trasporti a palazzo Senatorio: "Stiamo facendo le manutenzioni ai treni. L'alternativa era chiudere il servizio".

La metro B di Roma è un girone infernale: banchine strapiene e "risse" sui treni 

metro B treni strapieni

Su questo giornale abbiamo dato atto come sia stato un merito dell'assessore Patanè riuscire a dilatare i tempi della revisione dei treni, impedendo la chiusura. Rilanciamo dicendo che lo stesso Patanè si è assunto una responsabilità enorme. Non solo quella di tenere in servizio treni che, da normativa, necessitano ora di revisione, ma anche quella di rischiare che ogni mattina possa accadere qualcosa. E non perché i treni non funzionano o sono in condizioni precarie.

Sì, caro assessore Patanè e caro sindaco Gualtieri, sotto la metro B ogni giorno è un inferno e ogni giorno - va l'assicuro da utente - è sempre peggio. Le frasi "frequenze da treno regionale" o "treni come carro bestiame", non sono più esagerazioni giornalistiche, ma fotografie, talvolta sgranate, di quanto si vive ogni mattina. 

La frequenza di sette minuti è la normalità da diversi mesi e quella è la base del disagio. Da settimane ormai non viene neanche più rispettata: si è passati ad uno standard di 10 minuti (se va bene), che Atac con i suoi organi ufficiali smentirà perché "non ci risultano tempi di percorrenza fuori norma". Ecco: l'invito è anche a loro, oltre che a sindaco e ad assessore, è quello di scendere in metro, alle 8 di mattina. Senza preavviso e senza farsi preparare un servizio che funziona. 

Consigliamo di entrare ad una fermata in periferia, Monti Tiburtini per esempio. Troveranno ad attenderli un cartellone che segnala 7 minuti. Guarderanno l'orologio e si ritroveranno a vivere un tempo dilatato. Sì, perché quei sette minuti non sono mai sette. Colpa di Atac che imbroglia? No, assolutamente. Colpa di treni che già al capolinea sono pieni, strapieni. E con i treni pieni all'inverosimile i tempi per salire, o meglio per provare a farlo, si allungano. Quei sette minuti sono nella realtà dieci, undici, dodici. 

E quando il treno arriva bisogna prepararsi a spingere: si spinge sia chi sta dietro, sia chi sta dentro per provare ad entrare perché il lavoro aspetta. Si spinge e ci si fa male. Si chiede per favore di fare un passo avanti, si chiede di non stare al cellulare perché il braccio ad angolo retto occupa spazio e magari se tutti evitiamo recuperiamo quel minimo di spazio per respirare. Se si entra si passano lunghi minuti a litigare, fino alla fermata successiva, fino a Tiburtina dove, quando si aprono le porte la gente urla. C'è chi ha visto passare quattro treni senza poter entrare. C'è chi stavolta non può proprio non salire. E allora spinge, senza accorgersi che dentro c'è una bambina o un'anziana. Si finisce schiacciati contro i vetri. L'alternativa? Prossimo treno tra 10 minuti, ovviamente pieno, ovviamente con più rabbia di quello attuale.

E allora lì si capisce quanto il confine tra disperazione e rabbia e soprattutto quello tra una mattinata che fila liscia e quella con un incidente, con qualcuno che si fa male o che magari finisce in ospedale sia sottile. E forse sì, era meglio sospenderlo un servizio del genere. 

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