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Dossier Fibra killer

"Nostro padre morto per colpa dell’amianto sulle navi della Marina militare"

Domenico Sabbioni si è ammalato in servizio. "Faceva una guerra che non sapeva di dover combattere", raccontano i figli. Come lui, centinaia di persone sono uscite dagli anni in Marina con un mesotelioma. Ma secondo la Difesa, le "vittime del dovere" non hanno diritto a nessuna forma di risarcimento. Se non dopo una lunga e dolorosa battaglia legale

Matteo e Mara sono due orfani. Loro padre, il marinaio della Marina militare Domenico Sabbioni, è stato ucciso da fibre di amianto che non sapeva di dover combattere. I figli non hanno mai dimenticato quegli undici mesi infernali che sono sembrati un’eternità. Il dolore alla spalla divenuto allarmante, il sangue sputato fuori con la tosse, la chemio, le innumerevoli operazioni. Poi il responso dei medici che non lasciava spazio a molte speranze: marinaio morì per l'amianto nelle navi. E purtroppo quello di Domenico non è un caso isolato in Marina. 

La video intervista

La malattia letale contratta lavorando per la Marina 

Un calvario, quello affrontato da Matteo e Mara, che non è terminato neanche con la morte del militare. Perché da quel momento la famiglia romana ha dovuto iniziare a lottare, a combattere per ottenere i diritti che gli spettavano. Non è stato facile: "Ci sono voliuti 9 anni e affrontato 5 processi per ottenere questo risultato", dicono a Dossier. 

Domenico Sabbioni, non combatteva al fronte. O contro i terroristi in Paesi stranieri. L'uomo era un motorista della Marina militare. Era salito a bordo di due navi in particolare: la Mincio e la Brenta. "Abbiamo ottenuto giustizia - racconta Mara, con gli occhi lucidi - grazie al romanticismo di nostra madre, si può dire. Perché lei ci mostrava sempre le sue foto, le lettere che riceveva quando papà era imbarcato in una delle tante missioni, come quando andava a portare l'acqua nelle isole minori della Sicilia rimaste isolate". Ma soprattutto, "Mamma ha conservato anche la sua divisa e il suo cappello. È lì che sono state rinvenute le fibre di amianto", ricorda la ragazza. 

Domenico Sabbioni a causa di quelle fibre respirate 30 anni prima si è ammalato di mesotelioma pleurico. Una malattia subdola e praticamente letale, perché si manifesta dopo diversi anni e ha un indice di sopravvivenza del 5%. Lo Stato non dovrebbe abbandonare le famiglie di chi ha dato la vita per servirlo. I fatti dimostrano però che clausole e cavilli burocratici possono rendere difficile il percorso di chi pretende che le istituzioni si assumano le proprie responsabilità. 

Domenico Sabbioni in divisa

Se lo Stato si accanisce contro le vittime

"Papà è stato riconosciuto vittima del dovere, ma le vittime del dovere a differenza delle vittime del terrorismo perdono una serie di benefici - spiega Matteo - Per le vittime di terrorismo è previsto un indennizzo alla vedova e agli orfani senza alcuna distinzione, mentre per le vittime del dovere c'è una clausola: viene riconosciuta un'indennità solo a chi al momento del decesso è a carico fiscale della famiglia". Per questo motivo a Matteo è stata negata per anni: "Come dire che chi è autosufficiente non soffre". 

Il calvario umano si è trasformato in calvario giudiziario quando Domenico è venuto a mancare. "Ci siamo messi in contatto con l'avvocato Ezio Bonanni e l'Osservatorio Nazionale Amianto che per fortuna ci hanno aiutato molto. Mia mamma e mia sorella hanno avuto le prestazioni previdenziali dopo un estenuante percorso giudiziario e ancora lottano per ottenere una parte dei diritti che continuano ad essere negati dal Ministero della Difesa. Io sono stato escluso da subito invece", dice Matteo. Entrambi i fratelli hanno l’amaro in bocca: “Ci aspettavamo un supporto e delle scuse da parte di uno Stato che ci aveva già privato di un padre, non pensavamo si accanissero contro le vittime. Invece per ottenere i diritti che ci spettavano abbiamo dovuto scontrarci con processi infiniti e sentenze beffarde".

L’inferno giuridico: 9 anni e 5 processi

La strada è stata in salita ma l'Osservatorio e il suo avvocato sono riusciti a non far archiviare il caso della morte dei marinai della marina militari dalla procura di Padova e il procedimento di competenza della procura di Venezia adesso è in corso. Ma nel frattempo tra Roma e Tivoli si è giocata un'altra partita giudiziaria che riguarda i risarcimenti. La madre e la sorella di Matteo hanno lottato per godere in toto di ciò che gli spetta, visto che inizialmente gli è stato concesso un assegno pari alla metà di quanto previsto per legge. Per Matteo è stata più lunga. La sua unica colpa? Essere diventato autosufficiente all'età di 24 anni. 

"È inaccettabile che, dopo essere stato al capezzale di mio padre per undici mesi e aver perso l'affetto di un genitore morto per aver prestato servizio a uno Stato irriconoscente, la Difesa non riconosca i diritti di vittima del dovere a un orfano. Solo nell'ultimo processo la magistratura ha finalmente costretto il ministero della Difesa a riconoscermi le prestazioni previdenziali e l'indennizzo che mi spetta", afferma adesso Matteo, a cui la corte d'Appello di Roma ha finalmente riconosciuto il suo diritto a ricevere l'indennizzo.

L’avvocato Bonanni commenta così: "È paradossale che il Ministero abbia riconosciuto il motorista Domenico Sabbioni come vittima del dovere solo dopo la sua morte e sia arrivato a negare i diritti del figlio Matteo discriminandolo incomprensibilmente con motivazioni futili. È inaccettabile tanto più per il fatto che il decesso è conseguente allo svolgimento di un servizio per la collettività".

Quello che succede in Italia con le stragi silenziose dell'amianto è una ferita aperta. Non solo per le tonnellate ancora da smaltire, ma soprattutto per i tanti orfani che ha lasciato.

Ezio Bonanni, presidente Osservatorio Nazionale Amianto

Nella Marina almeno 570 casi di mesotelioma

L'Osservatorio Nazionale Amianto denunciava già nel lontano 2015 l'impressionante numero di casi di malattie correlate tra coloro che hanno svolto servizio nella Marina Militare Italiana: 570 casi di mesotelioma accertati secondo gli ultimi dati disponibili. "Quello che succede in Italia con le stragi silenziose dell'amianto è una ferita aperta. Non solo per le tonnellate ancora da smaltire, ma soprattutto per i tanti orfani che ha lasciato che devono lottare con lunghissime cause giudiziarie per il riconoscimento di un diritto sacrosanto", dicono dall'Ente che lotta contro quella fibra killer presente in ancora oggi in troppe costruzioni. 

Mara e Matteo ora che hanno raggiunto un piccolo angolo di serenità, lottano per gli altri: "È assurdo che alle vittime del dovere non vengano riconosciuti gli stessi diritti delle vittime del terrorismo. Questa è la battaglia che stiamo combattendo insieme all'avvocato Bonanni e all'Ona e ci auguriamo che questa vittoria possa servire a riscrivere una nuova pagina di una magistratura, che fino ad oggi si è rivelata crudele nei confronti delle vedove e degli orfani di vittime del dovere".

L’associazione ONA ha istituito il numero verde (800.034.294) e il servizio di assistenza gratuita per le vittime di amianto, che può essere richiesta a questo link.

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