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Le anime di Roma

Le anime di Roma

A cura di Associazione Calipso

Beatrice Cenci, Roma e una tragedia storica

Una reggia castellana che ancora racconta il suo vissuto, con la sua chiesa e la sua graziosa loggetta sulla facciata laterale: è l’insula dei Cenci.
Nel cuore del Ghetto, a due passi dalla Sinagoga, vi è ancora Palazzo Cenci, un complesso edilizio sorto su un'altura denominata "Monte Cenci". È impostato su quattro fabbricati e delimitato dalla piazza delle Cinque Scòlevia di S. Maria de' Calderari, via dell'Arco de' Cenci, piazza Cenci, via Beatrice Cenci e via Monte de' Cenci. Ma quale tragedia hanno vissuto quelle mura? Sicuramente la più turpe delle vicende.

Il grazioso palazzetto in stile manierista con interventi settecenteschi ha dato i natali a Beatrice Cenci, che vi ha vissuto quasi serenamente fino all’età di 6 anni. A quell’epoca, la mamma, Ersilia Santacroce, morrà per le conseguenze della nascita dell’ultimo figlio, Paolo. Rimasta orfana di madre, Beatrice e la sorella maggiore Antonina verranno mandate dal padre nel convento di Montecitorio, dove saranno le uniche educande nobili e faranno ritorno nella loro casa solo 9 anni dopo, quando Francesco Cenci si sposerà nuovamente.

Beatrice verrà presa sotto l’ala protettrice di Lucrezia Petroni, la sua matrigna, verso la quale proverà quell’affetto filiale represso per la precoce morte della madre e per la freddezza e noncuranza del padre, esclusivamente dedito ad accrescere il già ingentissimo patrimonio lasciatogli in eredità dal padre Cristoforo e ad utilizzarlo a proprio piacimento.Francesco Cenci è un uomo rissoso, violento e spesso in contrasto con la giustizia, estremamente spilorcio e completamente privo di sentimenti, anche dei più naturali, quelli cioè verso i propri figli.

E proprio la mancanza di quei sentimenti gli farà notare Beatrice, la sua bellezza innocente e delicata, il suo sguardo dolce e sofferente.
Francesco guarderà Beatrice con gli occhi dell’uomo e non del padre e la vorrà, per sé. Ma la vorrà accondiscendente, per accrescere i propri piaceri. La ingannerà, facendo leva sulla sua innocenza e sul suo senso religioso e le farà credere che “i più grandi santi della storia sono nati dalla relazione del padre con la propria figlia”. E Beatrice, seppur riluttante, abbraccerà quella missione come una chiamata.

Ma la scoperta dell’inganno la porterà al categorico rifiuto ed a subire per esso le più atroci violenze, soprusi ed abusi; a patire la fame e la mancanza di libertà; a sentirsi abbandonata, perché tutti i suoi appelli verranno disattesi. A volersi fare, dunque, giustizia da sola. 
Beatrice, con la complicità della matrigna, vittima anche lei della violenza del Cenci, del fratello maggiore e di un amico di questi, premediterà l’atroce delitto per liberarsi del suo carceriere, stupratore ed usurpatore della sua innocenza.

Neanche il principe del Foro di quella Roma papalina giunta all’apice dello splendore, grazie ai papi mecenati che avevano reclutato i più grandi artisti per rendere splendida la città eterna, riuscirà a dissuadere il Papa dal cogliere l’occasione per mettere le proprie avide mani sull’ingentissimo patrimonio della famiglia Cenci.

In quell’anno 1599, Roma, nel Tribunale di Corte Savella, sarà teatro del più celebre dei processi; ma il volere del popolo non riuscirà a cambiare una sentenza già scritta.

Beatrice non confesserà neanche sotto le più atroci delle torture. Riaffermerà sempre fiera la sua innocenza, fintanto che non saranno suo fratello e la sua amata matrigna a farle raccontare la sua giustizia, con tutti i patimenti che l’hanno determinata.

Oggi, in via di Monserrato 43, a ricordare quel Tribunale risalente al 1375, vi è solo una targa, che testimonia il passaggio di Beatrice. Il palazzo, anonimo pur nella sua eleganza, ha l’aspetto dell’ultimo restauro avvenuto nella seconda metà dell’Ottocento.

Ma in quell’11 settembre 1599 i Romani attenderanno speranzosi l’uscita di Beatrice da Corte Savella per la proclamazione della sua innocenza e il riconoscimento di una legittima difesa.

Una folla in rivolta, accanita contro il Papa-Re, Clemente VIII Aldobrandini, rigoroso ma malato di cupidigia, accompagnerà il carro che deporterà la giovane nobile romana da Corte Savella a Ponte Sant’Angelo, snodandosi per i vicoli affollati dei rioni Regola e Parione.

E la povera Beatrice, emblema dell’innocenza calpestata e dell’indipendenza e dell’orgoglio femminile, finirà sul patibolo “vittima esemplare di una giustizia ingiusta” . L’opera in copertina “Beatrice: la pubblica violazione” è realizzata da Marco De Vincentiis.

La visita tematica dell’Associazione Culturale Calipso  Beatrice Cenci, nei luoghi di una tragedia storica
 

Beatrice Cenci, Roma e una tragedia storica

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