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Cimitero dei feti, condanne per Comune e Ama: "Non potevano indicare i nomi sulle croci"

Oltre 400mila euro di sanzioni comminate dal Garante per la Privacy contro l'amministrazione e la municipalizzata. Lo scandalo era stato portato alla luce nel settembre 2020

Il Comune e l'Ama non potevano esporre sulle croci i nomi delle donne che avevano interrotto la gravidanza e i cui feti ormai senza vita erano stati sepolti all'interno del cimitero Flaminio a Prima Porta. Il Garante della Privacy il 22 giugno ha fatto sapere di aver comminato una mega-sanzione all'ente pubblico e alla sua municipalizzata che ha la gestione dei servizi cimiteriali: 239.000 euro ad Ama, 176.000 euro al Comune. L'ASL Roma 1 è stata invece solo ammonita. 

Il Garante per la Privacy punisce Ama, Comune e Asl

Il procedimento che ha riguardato Ama, Comune e Asl Roma 1 risale al 27 aprile, ma è stato reso pubblico solo il 22 giugno. L'Autorità che si occupa di tutelare i dati personali dei cittadini italiani, ha fatto emergere che Ama "trasmetterebbe ai servizi cimiteriali l’elenco delle donne che hanno effettuato un intervento di interruzione di gravidanza - si legge -, unitamente alla documentazione relativa, per ciascuna di esse, all’autorizzazione al trasporto e al seppellimento dei prodotti abortivi. Non solo i dati sull’interruzione di gravidanza rientrano tra i dati relativi alla salute, di cui è vietata la diffusione, ma la legge 194 del 1978 prevede un rigoroso regime di riservatezza". 

Lo scandalo delle croci esploso nel 2020

Quindi, quanto raccontato in un post Facebook del settembre 2020 da una ragazza che aveva avuto un'interruzione di gravidanza, non avrebbe potuto e dovuto verificarsi. In seguito all'aborto, la donna aveva casualmente scoperto della presenza di una croce con il suo nome, abbinato al nato morto, al cimitero Flaminio. Da lì in poi una serie di associazioni, tra queste "Libera di Abortire" e il partito dei Radicali Italiani, hanno intentato una causa in tribunale e una parallela campagna politica affinché si cambiasse il regolamento cimiteriale e si riscontrassero le responsabilità di tutti gli attori in causa. Per i Radicali, infatti "la pronuncia del Garante per la Privacy - dicono - è un’enorme vittoria per le migliaia di persone che, non solo a Roma, vedono calpestati i propri diritti. In questi anni abbiamo posto le armi del diritto al servizio dei diritti, anche e soprattutto di quelli riproduttivi, per ricordare che la nostra libertà di scelta non può ritrovarsi crocifissa e negata in una qualsiasi fase dell'interruzione volontaria di gravidanza". 

Via le croci e i nomi delle donne dal "cimitero dei feti"

A quanto ammontano le sanzioni

La sanzione toccata a Roma Capitale è pari a 176.000 euro, per Ama è di 239.000 euro, mentre l'Asl Roma 1 se l'è cavata con un ammonimento. Secondo la disciplina di riferimento, spiega il Garante, i “prodotti del concepimento” di età inferiore alle 20 settimane possono essere sepolti solo su richiesta dei “genitori”, mentre la sepoltura è sempre prevista per i “nati morti”. Per i “prodotti abortivi”, invece, la sepoltura viene comunque disposta dalla struttura sanitaria dopo 24 ore, anche senza richiesta dei genitori. Dall’istruttoria del Garante è emerso che la diffusione illecita è stata originata da una comunicazione di dati effettuata in violazione del principio di minimizzazione.

Il ruolo della Asl secondo l'Authority

E' stata la Asl, dice il Garante, ad aver trasmesso i dati identificativi delle donne ai servizi cimiteriali. Le informazioni, poi, erano state riportate nei registri cimiteriali e sulle croci "nonostante la normativa specifica preveda che - aggiunge il Garante - per l’apposizione della targhetta sul cippo, le informazioni da indicare siano quelle del defunto: quindi tali informazioni non possono in alcun modo essere assimilate a quelle che riguardano le donne che hanno avuto una interruzione di gravidanza".

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