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Cronaca

La poliziotta che ha convinto una ragazza a denunciare lo stupro di gruppo di Trastevere

Evelina Compare, ispettore capo del Commissariato di Porta Pia, ha ascoltato la ragazza di 16 anni vittima dello stupro di gruppo consumato a Trastevere

Le tratta come una "mamma", si approccia con loro quasi togliendosi la divisa e presentandosi come una confidente. Un contatto informale per ascoltare le ragazze, per lo più giovanissime, che hanno subito violenze o abusi sessuali. Evelina Compare, 47enne ispettore capo della polizia di Stato ed esperta della Questura di Roma sul tema violenza di genere e domestica, ha il suo metodo: tratta le tratta ragazze come se fossero sue figlie. È stata lei - insieme ai suoi colleghi - a ricostruire lo stupro di gruppo avvenuto a Trastevere.

"Sono mamma e l'obiettivo primario che mi pongo mettere a proprio agio la persona che ho davanti", dice la rappresentante delle forze dell'ordine a RomaToday. D'altronde, come lei stessa non fatica ad ammettere, l'importante è creare "fin da subito un clima umano, far sentire protetta la vittima e assicurarle il fatto che, una volta liberate da quel mostro, le forze di polizia assicureranno alla giustizia chi le ha fatte sprofondare in un incubo". 

Vittime ascoltate "come una madre, come una sorella maggiore"

Una atmosfera che, nel Commissariato di Porta Pia, si respira a pieni polmoni. "Qui c'è un clima familiare. Pur stando in una stazione di polizia veniamo visti come un posto sicuro in cui si possono denunciare reati di maltrattamenti, violenze sessuali o stalking. In un caso una persona che aveva sbagliato, commettendo reiteratamente un reato, dopo essere stata individuata e arrestata da noi ci scrisse una lettere a mano dicendo che l'avevamo salvata", spiega al nostro quotidiano il dirigente a capo del distretto, il dottor Angelo Vitale. 

La dottoressa Compare, d'altronde, anche nella nostra intervista resta coerente con il suo approccio. Ci guarda dritti negli occhi ma, al tempo stesso, non lo fa con lo sguardo "investigativo", quello di una "guardia", ma di chi potrebbe essere vista come una sorella maggiore o una mamma. Già impegnata nel progetto Scuole Sicure, sa bene cosa serve per combattere quei "mostri", come lei stessa definisce chi commette abusi sessuali: "Quando ho ascoltato la 16enne vittima della violenza di gruppo l'ho fatto senza la divisa. È servito per farle capire che la stavo ascoltando come madre, come donna". 

Le due violenze sessuali a Roma

La storia è stata resa nota ieri. La studentessa di 16 anni è stata aggredita il 27 novembre dello scorso anno in un bed and breakfast di Trastevere affittato per organizzare un party nonostante le restrizioni anti Covid. La minorenne si è messa a dormire in una stanza, ma è stata violentata da tre ragazzi che hanno approfittato di lei. Quello che in termine tenico viene definita una fase di "minorata difesa" causata dall'alcol e dalla paura. Poi il silenzio e la vergogna hanno fatto passare del tempo. Il velo lo aveva squarciato a febbraio una studentessa universitaria di 20 anni nella zona di piazza Bologna che nel febbraio scorso, proprio agli investigatori di Porta Pia, ha denunciato una violenza sessuale subita. "Mi sono trovata davanti una giovane donna forte - racconta la dottoressa Compare - in quel caso lei era ben decisa a denunciare, così abbiamo trovato anche con l'aiuto della squadra di Polizia Giudiziaria del Commissariato, il suo aguzzino". Un 20enne romano, di Monteverde, lo stesso che, insieme ad un amico anche lui di 20 anni e un altro di 16 anni, aveva abusato sessualmente della sedicenne a Trastevere.

La scorsa primavera la giovane, accompagnata sempre dai genitori, ha cominciato a confidarsi. Prima con i familiari presenti e poi da sola. Il suo racconto drammatico è finito su un verbale, poi confermato in un'audizione protetta con l'aiuto di uno psicologo, quindi supportato e avvalorato dell'attività di indagine del Commissariato. I tre ragazzi, una volta individuati, sono stati riconosciuti anche in foto. "Due di loro, oltre i domiciliari, hanno anche l'obbligo del braccialetto elettronico", conclude l'ispettore capo Caporale: "È anche così che combattiamo la crudeltà e il disvalore che viene generato da questi gesti".

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