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INTERVISTA | Veloccia: "Roma città in evoluzione. Stop all'espansione: gru solo in città e giù le mani dall'agro romano"

L'assessore all'urbanistica di Roma Capitale racconta a RomaToday la città che immagina tra dieci anni: "Basta espansione, ma un'evoluzione continua. Per decenni la politica si è resa complice di un'edificazione senza controllo"

Forse l'Expo nel 2030, sicuramente il Giubileo nel 2025, i miliardi del Pnrr (sempre che tutti i cantieri vengano aperti entro la metà del 2026), il nuovo stadio a Pietralata. Roma nei prossimi dieci anni è destinata a cambiare, evolversi, assistere alla mutazione di alcuni quartieri periferici. La sfida è enorme e come verrà governata dipende prevalentemente da chi è oggi al comando. Per capire cosa succederà nell'immediato futuro, RomaToday ha intervistato Maurizio Veloccia, assessore all'urbanistica: "Questa città deve smettere di espandersi, ma non di evolversi: voglio vedere tante gru e cantieri dentro Roma e tanta campagna fuori". 

Assessore, lei è favorevole o no al consumo di suolo, soprattutto quando si parla di nuova edilizia residenziale pubblica?

"Dobbiamo essere molto pragmatici. L'orizzonte dev'essere una politica che vada verso la riduzione e l’annullamento del consumo del suolo, ma questo non significa fermare la città, piuttosto puntare alla riconversione dell’esistente e alla rigenerazione urbana. C'è però un'avvertenza: ci sono ancora in coda dei piani di zona che si riferiscono alla legge 167 del 1962, quelli vanno gestiti anche perché sono passate da una valutazione politica a una giudiziaria, sono convenzioni in essere o sotto commissariamento ad acta. Purtroppo la precedente amministrazione non ha completato le varianti che avrebbero potuto tagliare ogni pretesa". 

A Roma, quindi, c'è ancora bisogno di case da costruire?

"Dopo Pasqua presenteremo uno studio, fatto insieme al Cresme, nel quale si evince che nei prossimi dieci anni ci sarà una richiesta di circa 70.000 alloggi, anche se la popolazione rimarrà stabile o diminuirà. Già oggi c'è carenza. I piani di zona mai partiti e su cui c'è effettiva difficoltà gestionale, decideremo per l'eliminazione, così da chiudere la stagione delle 167 che nacquero in un contesto di espansione, diversissimo dall'attuale, quando era naturale edificare su terreni agricoli con finalità sociali. Ora bisogna riconvertire". 

A Roma est, tra Fontana Candida e Villaggio Breda, c'è un'edificazione in procinto di iniziare e gli abitanti sono preoccupati per l'impatto sociale. Anche lì si andrà a completamento?

"Quando si parla di programmi di urbanizzazione privata non possiamo fare nulla, è una situazione diversa. Si tratta, il più delle volte, di autorizzazioni di 15 o 20 anni fa, con diritti edificatori maturati e noi non possiamo cambiare le scelte del passato, sono programmi legittimi che se venissero bloccati o ricollocati altrove causerebbero enormi contenziosi. Possiamo rivederli, aprire un'interlocuzione con i costruttori per ridurre l'impatto sociale, ma non abbiamo facoltà di impedirli". 

Parlava di riconversione, quindi anche rigenerazione urbana: a che punto è il bando "reinventing cities" che tra gli altri immobili include anche l'ex fabbrica Mira Lanza?

"Abbiamo portato quasi a termine i due bandi proprio sull'ex Mira Lanza e sulla scuola abbandonata Vertunni. In quest'ultimo caso l'edificio verrò riconvertito all'edilizia sociale e abbiamo due proposte in finale. Per l'ex Mira Lanza sono arrivate 7 proposte, ma 2 le abbiamo scartate e siamo in fase di emanazione del bando da parte del dipartimento patrimonio per i diritti di superficie dell'area. In questo caso le opzioni vanno dall'housing sociale al co-working o la realizzazione di foresterie. Il nostro indirizzo politico è di puntare sulla qualità, l'interesse pubblico e la sostenibilità". 

C'è poi la legge regionale n.7 sulla rigenerazione urbana che ciclicamente fa discutere: il neo governatore del Lazio, Rocca, ha espresso delle perplessità mentre l'ex assessore all'urbanistica Valeriani l'ha difesa convintamente. Lei che ne pensa?

"Io sono d'accordo con Valeriani, questa legge è un punto d'equilibrio, perché cerca di favorire l'attuazione diretta di progetti di riqualificazione edilizia indirizzati a immobili abbandonati o oggettivamente brutti, come nell'80% del nostro patrimonio. Viene attaccata da sinistra e da destra, c'è chi dice che sia troppo blanda e chi invece - soprattutto gli ambientalisti - la considera troppo derogatoria. Di sicuro non deve servire per abbattere e ricostruire i villini storici nei quartieri 'bene', ma soprattutto per una ristrutturazione urbanistica, non solo edilizia. Non bisogna però avere paura della sostituzione edilizia, se preserva le caratteristiche di una rigenerazione qualitativa e se va a impattare su immobili di bassa qualità. Stiamo lavorando, infatti, per implementare la Carta della Qualità inserendo un centinaio di villini storici che andremo a tutelare. Ma per evitare il consumo di suolo bisogna rendere più appetibile la rigenerazione dell'esistente". 

Lei sarà l'assessore di un nuovo Piano Regolatore, a ormai 15 anni da quello firmato da Roberto Morassut e Walter Veltroni?

"Io credo che quello del 2008 sia un PRG ancora molto attuale. Se pensiamo nello specifico all'idea di città policentrica, è un po' la città dei 15 minuti 'ante-litteram'. E poi il trasporto su ferro, la tutela delle aree a rischio idrogeologico. Il punto cruciale è che non è stato attuato completamente, in alcuni casi per niente. Penso alla valorizzazione del trasporto su ferro, alle infrastrutture, alla chiusura dell'anello ferroviario, alla realizzazione di tutte le centralità. Innanzitutto perché era troppo ambizioso, volava troppo alto rispetto alle effettive capacità della classe dirigente politica e amministrativa, oltre che a quella imprenditoriale. L'indirizzo pubblico, la regia della politica è fondamentale, ma non si è stati all'altezza. E i municipi non sono mai diventati quelle 'città metropolitane' che avrebbero dovuto essere con il vero decentramento. L'altro motivo è che si sono messi troppi vincoli nell'attuazione. E' per questo che speriamo di approvare presto la delibera sulla semplificazione delle norme tecniche d'attuazione del PRG e siamo contenti di aver ottenuto deleghe in materia di urbanistica dalla Regione. Ci vuole più dinamicità nel cambio di destinazione d'uso, incentivare la possibilità di creare convenzioni tra pubblico e privato evitando interminabili e complesse pianificazioni e passaggi amministrativi. Se facciamo così, arriveranno anche gli investitori che hanno necessità di sapere quanto spendere, quanto tempo impiegheranno a realizzare i loro progetti e con quali precise procedure amministrative". 

Ha citato le centralità: quelle realizzate sono per lo più quartieri dormitorio, altre sono rimaste su carta. Non un grande successo...

"Bisogna distinguere tra centralità urbane e locali, quindi aree che siano attrattive per tutta la città e aree che diventano il centro di riferimento per un determinato territorio. Noi, in fin dei conti, stiamo provando a fare questo: penso a Tor Vergata con Expo, a Pietralata con il Rome Technopole, lo stadio e la sede Istat, a Torre Spaccata città del cinema. Queste saranno le nuove centralità urbane attrattive per tutta Roma. Poi c'è la 'città dei 15 minuti', che non è una piazzetta o una panchina, ma il tentativo di dare l'idea di una città in cui tutti hanno pari dignità, dove la qualità urbana non sia più 7 al centro e 2 in periferia. Dove sia a Settebagni sia a Monti ci sia una piazza vissuta, un luogo di aggregazione. Si ricorda le 100 piazze di Rutelli? Erano molte meno e alcune non proprio bellissime, ma l'idea è ancora valida: tornare ai quartieri, avere luoghi d'incontro dove socializzare, leggere, stare all'aria aperta". 

Forse tutto questo lo avrebbero dovuto fare i costruttori, che nessuno ha minimamente controllato quando tiravano su i palazzi senza fare le piazze, le scuole, i parchi urbani come da convenzione.

"Sì, ha ragione. Questo dipende anche dalla capacità amministrativa che prescinde dai singoli, è una questione culturale. E attraversa varie epoche, perché ci sono stati problemi in quartieri nati 15 anni fa e in altri nati 40 anni fa. L'urbanistica a Roma è rimasta immutata a lungo, con l'incapacità e a volte la correità delle classi dirigenti. Abbiamo la città della speculazione, quella del mancato controllo e anche quella dei quartieri nati spontaneamente, extra Gra, costruiti dai cittadini stessi per esigenze abitative e che oggi ci troviamo a dover sanare. Questa è una specificità romana, che in altre città non esiste. Oggi, però, posso dire che c'è un'imprenditoria diversa, non c'è più l'abusivismo per necessità e la classe dirigente controlla di più, sanzionando ciò che non va bene". 

L'Expo 2030 a Tor Vergata è l’unica carta per trasformare quel quadrante? Esiste un piano B?

“Noi per Expo abbiamo il progetto migliore, ma dobbiamo essere capaci a farci votare, vedremo a novembre cosa accadrà. In ogni caso, l’idea che Tor Vergata possa, a prescindere, trovare una nuova vocazione è già realtà. Ovviamente se abbiamo 5 miliardi di euro per Expo ci sarebbero anche 7/800 milioni di euro di investimenti specifici diretti su quel quadrante, che potrà essere totalmente trasformato. Ci sono però interventi previsti già con il Giubileo, che si faranno a prescindere: i parcheggi del Policlinico, il prolungamento del tram, la riqualificazione del compendio delle Vele di Calatrava con 70 milioni di euro, ci sarà un lavoro con l’università per costruire il prima possibile il nuovo ospedale degli animali e una nuova facoltà. C’è comunque una mole di investimenti molto importante che arriverà a prescindere”. 

Parlava di piani di zona da realizzare, ma ce ne sono diversi ancora da completare. Le faccio l'esempio di Torresina 2, dove il cantiere inaugurato un anno fa si è fermato quasi subito. Cosa succede?

“Ha toccato un punto dolente, è uno dei piani che ci fa più penare. L’anno scorso avevamo trovato la quadra con Astral, poi la revisione prezzi da un lato e la necessità di approfondimenti tecnici per le vasche di laminazioni e gli allacci alla rete idrica da parte di Acea dall'altro, hanno portato a dei ritardi. Fortunatamente noi abbiamo fatto un lavoro invisibile ma lungo e faticoso di ridefinizione di tutti i progetti ad opera dei consorzi. Poi se qualcuno si tira indietro, andremo dritti con l’escussione delle polizze. Con Astral andiamo avanti con la lentezza legata anche alla revisione dei prezzi da parte della Regione, aumentati in maniera spropositata. Stiamo però proseguendo su Castelverde, Monte Stallonara e tante altre realtà. Adesso però noi dobbiamo cominciare a fare direttamente alcuni interventi. Il supporto di Astral è stato importante e lo sarà, ma dobbiamo riprendere un protagonismo attuativo. Fuori dai piani di zona, insieme all’assessora ai lavori pubblici Ornella Segnalini abbiamo iniziato i progetti nelle zone dei toponimi e nelle zone O, ex abusive. Dobbiamo fare lo stesso nei piani di zona”. 

Stadio della Roma: come si superano le criticità rispetto al progetto presentato dalla società?

“Lo stadio è il simbolo della nuova idea che abbiamo di città, quella che abbandona i progetti in cui si consuma nuovo suolo, preferendo la costruzione di qualcosa di importante dentro la città. Ovviamente questo porta problemi differenti, perché si innesta un’infrastruttura importante e pesante dentro una città che ha la sua complessità e i suoi problemi. Questa è la sfida del futuro. In questo momento stiamo chiudendo un importante procedimento che porterà all’apertura di un grande data center (quello di Aruba nel Tecnopolo Tiburtino, ndr), un asset fondamentale per la competizione di Roma. E nascerà riconvertendo un vecchio sito industriale dismesso. L’idea della riconversione e della rigenerazione è la strada da percorrere per rendere Roma sostenibile e competitiva. Le metropoli continueranno a essere attraenti per le persone e le economie mondiali si giocano nella competizione tra metropoli". 

Sulla realizzazione del nuovo stadio scommetterebbe 1 o 1.000 euro?

“Io di solito non scommetto. Però penso che si possa fare. E' come se le dicessi: se partecipa alla maratona di New York, è più facile scommettere che vinca o che perda? Ovviamente la seconda. Perché è più facile puntare su una sconfitta nelle sfide difficili, ma vanno comunque combattute e giocate. È un bel progetto, è dentro l’idea di città che abbiamo. La Roma deve risolvere le tante questione poste, perché i nostri uffici non hanno né la superficialità di dire che va tutto bene né la rigidità di dire che va tutto male. Le condizioni per farlo ci sono".

Veloccia, che città si immagina tra 10 anni?

“Che abbia fermato la sua espansione. Una città che si fermi ma che veda tanti cantieri dentro i suoi confini, deve sapersi trasformare. Tante gru dentro e tanta campagna fuori dall’abitato. Una città in cui il trasporto sia finalmente adeguato, perché ad oggi Roma non è per tutti: garantisce ad alcuni fino a 6/7 possibilità per muoversi, mentre ad altri è precluso tutto se non l’auto privata. Che si risolva questo tema, perché è una questione di mobilità ma anche di urbanistica e sociale. Bisogna chiudere l’anello ferroviario, realizzare nuove linee tram, concludere la metro C, prolungare la A e la B, riprendere la progettazione della D. E poi immagino una città che abbia risolto alcuni bubboni, come i piani di zona che rappresentano un pezzo della nuova periferia e per la quale c’è una sorta di senso di colpa perché sono piani voluti, è una città pianificata e non ha piazze, strade, scuole, illuminazione. Anche gli interventi col Pnrr servono a sanare determinate ferite. Roma per decenni ha vissuto di un accordo tacito di indifferenza tra l’amministrazione e gli abitanti di alcuni quartieri di cui la politica non si curava, così da giustificare molti comportamenti illegali da parte dei cittadini dimenticati. Gli interventi a Corviale e Tor Bella Monaca rappresentano un’amministrazione che ci mette faccia e soldi e chiede agli abitanti di collaborare nella gestione di questi quartieri, non solo degli spazi ma anche dal punto di vista sociale”. 

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