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"Il Comune rivuole la mia casa popolare": la storia di Aicha tra sfratti e razzismo

Alla signora Aicha, dopo anni in un Caat, nel luglio scorso è stata assegnato un alloggio a Tor Bella Monaca. "Prima di entrare ho dovuto effettuare dei lavori". Intanto la paura: "Oggetto di aggressioni da parte di due inquilini"

Dopo anni senza una vera casa dove vivere, tra sfratti, la strada sempre pronta ad 'ospitarti' e l'alternativa emergenziale dei residence, l'assegnazione di una casa popolare è un momento importante. Lo è stato anche per la signora Aicha Jafaari, originaria del Marocco, che con i suoi due figli piccoli, di due e otto anni, e in lista d'attesa per un alloggio di edilizia residenziale pubblica dal 2008, il 22 luglio scorso è stata assegnataria di un appartamento in via Giacomo Galopini a Tor Bella Monaca.

Il 7 novembre scorso, a meno di tre mesi dall'assegnazione, Aicha ha ricevuto dal Dipartimento Politiche Abitative una lettera che comunica la 'decadenza' dal diritto ad restare in una casa pubblica. "A seguito di verifiche [...] è emerso che l'alloggio assegnatale in virtù della determinazione dirigenziale del 22 luglio 2016 non risulta abitato dalla signoria vostra". Per l'amministrazione comunale Aicha è fuori, dopo anni di attesa. Nonostante il suo lavoro precario, anzi 'a chiamata', proprio non le permetta di trovare un appartamento in affitto. Nonostante ci sia anche un documento dei Servizi sociali del V Municipio, che porta la data del 16 maggio 2016, che conferma le "condizioni di particolare debolezza socio-economica" del nucleo familiare. 
Aicha fino al 19 ottobre scorso è rimasta a vivere nel Centro di assistenza alloggiativa temporanea di via Vincenzo Tineo. A prova di questo mostra il foglio che attesta il giorno in cui ha riconsegnato le chiavi. 

Perché questo ritardo nel trasferirsi? "Quando mi è stata assegnata la casa non era abitabile, servivano dei lavori di ristrutturazione, ma l'ho accettata lo stesso perché altrimenti avrei perso il diritto" racconta mostrando una serie di immagini che testimoniano lo stato dell'appartamento al momento dell'ingresso. "Ho preferito accettarla e provvedere ad effettuare i lavori a mie spese per renderla abitabile. Avevo qualche piccolo risparmio e mi sono fatta aiutare da mia sorella che vive in Francia".

Aicha ha contestato la lettera di decadenza. "Quando l'immobile le è stato consegnato" ha raccontato telefonicamente a Romatoday l'avvocato Claudia D'Amico "due operatori hanno constatato che l'impianto idraulico era da rivedere, le tapparelle non funzionavano e c'erano molti mobili da buttare". Nel verbale di consegna si legge: "L'alloggio si presenta in discrete condizioni manutentive con presenza di alcuni beni mobili di cui il comune declina ogni responsabilità. Da controllare l'impianto idraulico, avvolgibili in cucina e in camera non funzionante, manca avvolgibile in bagno".

Continua l'avvocato: "Anche l'impianto elettrico non era a norma, con fili elettrici volanti da una presa all'altra, il boiler per l'acqua calda era rotto e con fili scoperti, la vasca da bagno era bucata e aveva delle perdite di acqua. Anche il pavimento era danneggiato e gli infissi ancora oggi non si chiudono". In sintesi: "Lo stato dell'appartamento non consentiva un trasferimento immediato, era necessario effettuare dei lavori. C'è voluto un po' di tempo perché la mia assistita non ha le possibilità economiche per concludere tutto in poco tempo, inoltre si è avvalsa dei ritagli di tempo di alcuni amici manovali che le hanno effettuato i lavori in economia".

Non solo. "Tra le cause dei ritardi infatti anche alcuni atti vandalici sui contatori dell'energia elettrica che per ben due volte hanno reso impossibile attaccare la corrente e quindi proseguire con i lavori. La signora denuncia anche continue lamentele da parte di due vicini che iniziano ogni volta che avvia dei lavori rumorosi". 

Aicha ha paura. Il clima del palazzo è tranquillo ma l'atteggiamento dei due condomini la spaventa. "Sono spesso oggetto di frasi razziste da parte di due persone e un giorno sono stata anche aggredita tanto da dover andare al pronto soccorso con le braccia piene di lividi. Mi hanno dato cinque giorni di prognosi. Giro con uno spary urticante per difendermi e quando porto fuori casa i miei bambini sto attenta che non mi vedano".

Il pensiero corre a quanto accaduto a San Basilio dove una famiglia marocchina a cui era stata assegnata una casa popolare ha dovuto rinunciare per la tensione che si era venuta a creare con i residenti dal momento che per liberare quell'abitazione, occupata senza titolo, era stato effettuato uno sgombero. Qualcuno parlò di matrice razzisti. Qualcun'altro preferisce parlare di guerra tra poveri. Aicha però ribadisce: "Questa è la mia casa. Non ho un altro posto dove andare. Non mi possono cacciare". 

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