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Venerdì, 26 Aprile 2024
Reportage / Pietralata / Via Matteo Tondi

Giardini interdetti e locali vuoti: la solitudine di Monte del pecoraro

In via Matteo Tondi servono servizi e manutenzione

Via Matteo Tondi collega la stazione metro Santa Maria del Soccorso con via di Pietralata e costeggia una zona dell’omonimo quartiere denominata Monte del pecoraro, perché un tempo era nient’altro che una distesa di terreno dove i pastori portavano a pascolare i greggi. Si tratta di alcune centinaia di metri di una lingua di asfalto che taglia a metà un comprensorio di case popolari, tutte a gestione Ater o condomini misti (vale a dire di proprietà pubblica e privata).

I locali lungo la via sono vuoti, le serrande sono abbassate e gli spazi a piano strada perpetuano nell’abbandono. Si prova anche imbarazzo a parlare a voce alta in via Tondi perché il silenzio, generato proprio dal vuoto, è pesante e lo è anche in una mattina di sole mentre le vie della città si riempiono di bici, bambini e auto. “Gli affitti sono improponibili, per questo i locali sono destinati a restare così come sono. Chiusi” ci spiegano Antonio e Sara del comitato di quartiere Pietralata che ci danno appuntamento in uno degli unici due bar di zona che, già dalla mattina, diventa un punto di riferimento per gli abitanti della strada. Pochi minuti dopo, il tour di via Matteo Tondi, in compagnia di comitato e cittadini, può iniziare.

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I lotti sono di pochi piani, tranne un immobile che proprio per la sua altezza – notevole rispetto agli altri – è definito ‘la torretta’. “Qua dentro o ce cascano le case o cascamo noi” ci spiega un’inquilina indicando le piastrelle sollevate e rimosse davanti ai portoni. E mentre continuiamo a percorrere i cortili, incrociamo due uomini intenti a pulire scale e androni. “Li vede? Loro li paghiamo noi. Ogni mese ci autotassiamo e paghiamo chi viene a pulire” aggiunge un altro inquilino. Le fondamenta dei palazzi, dove passano gli scarichi aerei che poi confluiscono nel collettore principale, sono quasi tutte allagate e per lo più inaccessibili: le scale di una in particolare sono state delimitate con del nastro.

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Poco più avanti ci ritroviamo in un ampio spazio che ci spiegano essere stata un tempo la pista di pattinaggio del comprensorio. Si fatica a immaginarla: oggi è solo una distesa di cemento. Sotto ci sono gli ex locali caldaia, dismessi dal 2009 ma ancora accessibili. Sarebbe un luogo off limits ma per entrare basta spingere un cancello arrugginito e aperto. Sulla facciata di una palazzina campeggia un cartellone di inizio cantiere, è datato 2009, nel frattempo però le caldaie sono state sistemate nelle palazzine ma quel pannello ancora è lì.

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Anche le crepe alle pareti sono ben visibili, soprattutto sotto i massetti dei balconi. Al centro del comprensorio insiste una struttura, ora occupata, ma un tempo era per metà centro anziani e per l’altra metà studio medico: sarebbe destinata a servizi residenziali. I locali sotto le case prima erano deposito per la nettezza urbana e spazi per il portierato, adesso sono anch’essi vuoti e abbandonati: “Quando eravamo piccoli – ci raccontano con un sorriso nostalgico sulle labbra gli inquilini di mezza età - dovevano rispettare l’ora del silenzio”. Dei primi abitanti, tutti maestranze che lavoravano tra l’Italia e l’Africa come piastrellisti, o dipendenti pubblici, assegnatari degli appartamenti nei primi anni ’70, ne sono rimasti ancora tanti anche se da queste parti l’eroina “Si è portata via una generazione” spiegano.

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“Non ci sono segnali, si entra e si esce dalla stessa strada perché la via, dalla parte opposta è chiusa e camminare a piedi in questo punto è pericoloso per noi anziani” dice sor Sergetto indicando con enfasi e rammarico al tempo stesso il percorso che fa ogni giorno per uscire di casa: vorrebbe camminare in sicurezza nelle strade del lotto in cui vive ma non può e vorrebbe che i mezzi di soccorso non avessero problemi ad entrare, invece, gli tocca trovare un modo per fare inversione e poi uscire. E quando piove? Anche i terrazzi si allagano e qualcuno di buona volontà deve intervenire, in genere, ca va sans dire, sono gli inquilini, nonostante le famiglie proprietarie abbiano pagato questa manutenzione nel prezzo d’acquisto.

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Impossibile non notare un gruppetto di persone all’interno di un giardino nei pressi di largo Viola, tra radici, tombini sollevati e erba alta. Un amministratore di condominio invoca l’articolo 40 del codice penale che recita ‘Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo’ e anticipa: “Stiamo chiedendo l’interdizione, qua è pericoloso”. Poco più avanti è interdetto anche un marciapiede, si perché il muro di contenimento è parzialmente crollato.

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Per il comitato di quartiere, infine, non ci sono spazi: il più vicino è a qualche chilometro di distanza ma soprattutto è troppo ‘caro’: una spesa di oltre mille euro di affitto al mese nei locali Ater non è sostenibile per chi lavora gratuitamente. 

Ritorniamo verso la metro Santa Maria del Soccorso e la via Tiburtina, dall’altra parte della strada c’è Tiburtino III, un altro quartiere che paga lo scotto di essere una periferia e come Monte del pecoraro non ha servizi né attività commerciali ma ha abitanti che lottano e non si danno per vinti. Si perché anche Monte del pecoraro è Roma che, come altre borgate, è raccontata da Pasolini nei suoi scritti più famosi. E chissà che non sia stato proprio il poeta a dare il nome a questa zona, quando la ricorda in 'Una vita violenta' come testimoniato da questa foto in mostra proprio in un bar all'ingresso di Monte del pecoraro. 

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