Viaggio nelle attività commerciali di Prati: negozi chiusi e consumi in calo
Fallimenti e grosse svendite per un mercato con l'acqua alla gola. Parla Mauro Caliste, assessore municipale alle Attività produttive del XVII municipio
A fotografare una situazione di grossa difficoltà per gli esercizi commerciali del quartiere è Mauro Caliste, assessore alle Attività produttive. Sono molti i negozi costretti a chiudere i battenti a causa degli affitti troppo alti. Nei pressi di via Cola di Rienzo ha fallito L’Airone (via Marcantonio Colonna), negozio di abbigliamento sportivo, e anche la cartoleria di via Cantore (C’Art), che molti anni fa rimpiazzò l’Olivetti, ha dovuto esporre in vetrina il cartello “vendesi”. In via Ottaviano, centro nevralgico dello shopping prataiolo e turistico, la situazione non sembra migliore: molti davanti alle vetrine, ma sono pochissimi quelli che comprano. E per i commercianti non ci sono dubbi: di ripresa ancora non si parla, almeno non in tempi brevi. «Un auspicio – prosegue l’assessore – è che i proprietari dei locali riducano le loro pretese e abbassino i prezzi degli affitti, che non sono adeguati alla situazione attuale del mercato».
Proseguendo lungo le principali vie commerciali della zona si percepisce lo stato d’emergenza dei nostri negozi. Sono aumentati gli Outlet, con sconti che arrivano fino all’80%, si sono moltiplicate le promozioni e le grandi svendite: si va dal classico “tutto a metà prezzo” al “prendi 5 e paghi 2” di una nota maglieria. Ma per i rivenditori non è sufficiente e – ci rivela il proprietario di un negozio di calzature – «il saldo delle aziende rimane negativo». «In questa fase di transizione – continua l’assessore – dove il peggio deve ancora arrivare, i commercianti stanno facendo di tutto per non chiudere l’attività. La logica ora è quella del guadagnare meno e aspettare che passi la nottata».
Tuttavia non è solo colpa della contingenza internazionale: l’altra spada di Damocle che pende sui negozianti è la Delibera 36/2006 del Comune di Roma. Questa norma impedisce a chi fallisce o chiude un’attività “tutelata” (librerie, negozi di dischi, videoteche, articoli religiosi, arredi sacri, cartolerie, giocattoli e giochi, fiori e pianti e gioiellerie) di aprirne un’altra non appartenente al medesimo settore. L’articolo 6 specifica inoltre che solo dopo 5 anni di inattività i locali possono modificare la loro tipologia commerciale.
E non finisce qui. A Borgo Pio e in via della Conciliazione c’è il divieto assoluto di aprire attività diverse da quelle già presenti. «Con l’evoluzione del commercio degli ultimi anni – commenta Caliste –, e soprattutto in questi periodi di crisi, la Delibera andrebbe rivista per tutelare maggiormente le attività artigianali ed evitarne il fallimento».
Questa regolamentazione, datata 6 febbraio 2006, è un ostacolo e una garanzia insieme. Da una parte salvaguarda le botteghe storiche, dall’altra impedisce un genuino ricambio nel corso degli anni. È il momento, forse, di ridiscutere la normativa in materia di commercio, incontrando tutte le organizzazioni di categoria: l’Associazione commercianti, la Confcommercio, la Confesercenti e la Confartigianato.