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Torri delle Finanze: una storia lunga dieci anni

Dalla vendita del ministro Tremonti, al tentativo di trasformazione di trasformazione in un centro residenziale di lusso: il flop della valorizzazione all'italiana

“Per chi entra nel quartiere dall’esterno, la veduta dei due volumi simmetrici (da una parte le torri di Ligini, dall’altra i palazzi delle Poste, ndr) entrambi sviluppati in altezza, costituisce un insieme di grande importanza paesaggistica che andrebbe irrimediabilmente perduto se le torri venissero sostituite da un volume a prevalente sviluppo orizzontale”. È questo il commento emesso il 21 settembre 2010 dal Comitato tecnico scientifico per la qualità architettonica urbana e l’arte contemporanea presieduto dall’architetto Paolo Portoghesi. Gli appelli alla tutela delle torri di Ligini, nel tempo, sono stati molti. Anche se sono mancati quelli determinanti della Sovrintendenza. Eppure non sarà l’attenzione per l’architettura di Roma a salvare i volumi delle ex torri delle Finanze, tra l’altro già private di un importante elemento strutturale caratterizzante quale la loro “facciata continua”, persa per sempre, ma gli interessi privati bloccati dalla crisi economica.

LA VENDITA – La vicenda delle torri dell’Eur, che fino alla all’inizio degli anni duemila ospitavano il ministero delle Finanze, inizia alla fine del 2002, il 24 dicembre, quando con un decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri, l’Agenzia del Demanio viene autorizzata a dismettere, a trattativa privata, quindi senza alcuna asta pubblica, una serie di beni appartenenti allo Stato. L’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, parlava da tempo di una loro valorizzazione attraverso la vendita e il cambio di destinazione d’uso, magari trasformando i vecchi uffici in stanze d’albergo. Tre giorni dopo, il 27 dicembre, Fintecna spa acquisisce le torri per 505 milioni di euro. Nello stesso anno, il 2002, come riporta un’interrogazione presentata dal senatore Idv, Elio Lannutti, le torri “vennero censite dal Quart/La Sapienza tra le architetture di rilevante interesse storico-artistico realizzate a Roma dal 1945 ad oggi, e come tali inserite nella Carta per la qualità del nuovo Piano regolatore di Roma”.

LA STORIA DEL PROGETTO - La proposta di “valorizzazione” arriva nel 2005, quando il comune di Roma, allora guidato da Walter Veltroni, appoggia la richiesta di Alfiere Spa di demolirle per poter costruire le residenze di lusso progettate da Piano. Per dare il via alla loro demolizione, bisogna cancellare le torri dalla Carta per la qualità. Serve una variante al Prg. La delibera n.87 arriva l’11 aprile 2008, a 48 ore dal primo turno delle elezioni comunali che vedranno Gianni Alemanno diventare al ballottaggio il primo cittadino della Capitale. A firmarla, non l’uscente sindaco Veltroni, dimessosi per gareggiare per la presidenza del Consiglio, ma il Commissario straordinario Mario Morcone che ha guidato il Comune di Roma tra una consiliatura e l’altra. Ma il definitivo stralcio dalla Carta qualità delle ex torri delle Finanze dell’Eur avviene sotto la benedizione del sindaco Alemanno, nel maggio del 2010. Intanto, nel 2007, giusto in tempo per evitare che le torri compissero cinquant’anni d’età, anniversario che fa scattare il procedimento di tutela, iniziano i lavori di “manutenzione” degli edifici: il courtain wall, la facciata continua che le caratterizzava, viene letteralmente smontato con una semplice dichiarazione di inizio attività per comuni lavori di restauro presentata presso il municipio XII. La Soprintendenza non interviene. E le torri, spellate della loro facciata, da edifici da tutelare diventano una nuda struttura che mostra stanze interne in cui giacciono, qua e là, mucchi di macerie abbandonate. E così si mostrano, oggi, a chiunque decida di fare una passeggiata nel parco del laghetto dell’Eur.

LA SOCIETA’ PROPRIETARIA – Per capire più a fondo l’affaire delle Torri di Renzo Piano, è necessario capire ha pensato il progetto al momento della sua approvazione. La Alfiere spa è posseduta al 50 per cento da Fintecna Immobiliare, società finanziaria controllata al 100 per cento dal Ministero dell’Economia, e al 50 per cento da Progetto Alfiere spa. A sua volta la Progetto Alfiere spa contiene altre sei società: la Lamaro Appalti spa dei costruttori Toti (9,5% del totale), la Astrim spa (31% Unicredit), la Fimit Sgr, la società di gestione risorse (oggi Idea Fimit) entro cui con quasi il 30 per cento delle quote c’è l’Inps (ex gestione Inpdap ed Enpals) e con quasi il sei e il tre per cento ci sono gli enti previdenziali “privatizzati” Enasarco e Inarcassa, l’Immobiliare Lombarda spa del gruppo Fondiaria Sai, riconducibile al costruttore Salvatore Ligresti, la Met Development Spa (tutte con il 9,5 per cento a testa) e la Eurospazio srl (5 per cento). Come scrivono Daniele Nalbone e Paolo Berdini nel libro “Le mani sulla città” (Ed Alegre): “Marie Tecnimont spa, detiene il 99 per cento di Met Development che nel 2004 ha rilevato Fiat Engineering. All’interno della Marie Tecnimont spa troviamo ‘big’ dell’imprenditoria come Roberto Poli, presidente Eni fino all’aprile del 2011, membro dei cda di Fininvest e Mondadori, e Giovanni Malagò, uomo ovunque nella Roma di Rutelli e Veltroni prima, Alemanno poi”.

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