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Indagine Censis per Cna: "2013, un anno di stagnazione"

Per le piccole imprese artigiane, la tempesta continua. Rapporto difficile con i giovani: il sistema educativo considerato inadeguato ai bisogni dell'impresa

Un anno di stagnazione. Così è stato definito dalla Cna il 2013. "La crisi - spiega - ha messo in grande difficoltà le piccole e piccolissime imprese artigiane. La conferma arriva da un'indagine svolta dal Censis per conto della Cna nazionale su un campio di 450 imprese con meno di 50 addetti".

Ridimensionamento e stagnazione. Quasi la metà delle imprese (46,8%) si trova in una fase di “ridimensionamento” e il 45,3% di stagnazione (45,3%). Solo l’8% si trova invece in una situazione migliore, di ripresa dopo un periodo di difficoltà (4,5%), di consolidamento (2,6%) o di “crescita” vera e propria: ma queste ultime rappresentano appena lo 0,8% del campione. Sono le imprese più piccole a soffrire di più: si trova in fase ridimensionamento il 46,8% di quelle con 1-4 addetti, il 54,7% di quelle che ne hanno tra 5 e 9; nelle aziende più grandi tale quota scende al 33,5% tra le imprese che hanno 10-19 occupati e al 26,2% per quelle che ne hanno 20-49.

Le strategie applicate per resistere e tornare a crescere. Se il 38,6% delle imprese è stata costretta negli anni della crisi a ridurre il proprio organico, le strategie poste in essere dalle imprese sono state tuttavia più differenziate. Va innanzitutto sottolineato che il 33% è riuscito comunque ad assumere nuovo personale, il più delle volte in sostituzione di figure andate via. Più di un’impresa su quattro (26,4%) ha fatto ricorso alla cassa integrazione, il 17,1% delle imprese ha ridotto l’orario di lavoro dei propri dipendenti, il 16,6% riorganizzato i processi di lavoro, il 13,6% riconvertito professionalità già presenti all’interno dell’azienda. Ancora: un’impresa su dieci ha ridotto lo stipendio dei dipendenti (10,7%), mentre sono poche di meno quelle che non hanno rinnovato contratti a termine o di collaborazione (7,9%). In ultimo, il 4,6% di imprese artigiane ha inserito in organico professionalità che non erano presenti in azienda. Ad oggi, l’11,3% delle imprese interpellate sta ancora facendo utilizzo della cassa integrazione.

La qualità della produzione scelta prioritaria. In questo periodo la qualità è stata il riferimento per rimanere sul mercato. E la difesa della qualità artigiana delle produzioni e dei servizi è ancora considerata prioritaria per quasi 67 interpellati su cento, seguita molto da lontano dal miglioramento della gestione economico-finanziaria, dalla ricerca di nuovi mercati e dalla riorganizzazione dei processi di lavoro.

I giovani problema grosso. E’ un problema grosso il rapporto tra piccole imprese e giovani. Sembra quasi assomigliare ad un fossato di incomunicabilità. Solo il 32 per cento degli intervistati dichiara l’intenzione di ricercare giovani con meno di 30 anni. E se la maggioranza considera la variabile anagrafica ininfluente nella scelta della professionalità da inserire in azienda, vi è invece un 15,3 per cento che esprime una chiara preferenza per gli over 30. Il punto dolente è la preparazione tecnica, che per il 39,5 per cento non sempre si rivela adeguata alle esigenze, mentre le aspettative economiche talvolta non sono in linea con quelle che sono le effettive possibilità delle piccole imprese (28 per cento).

Sistema educativo bocciato. Più di tre imprese su quattro, tra quelle che negli ultimi cinque anni hanno ricercato profili da inserire in azienda, sono andate incontro a difficoltà quando si sono confrontate con il mercato del lavoro. Per oltre il 42 per cento delle aziende i profili incontrati non possiedono addirittura competenze in linea con quelle richieste. Sul banco degli accusati un sistema educativo inadeguato ai bisogni delle aziende perché figlio di un’impostazione teorica e generalista, ma anche troppo frammentato in una miriade di percorsi formativi che spesso non permettono uno sbocco occupazionale.Ben tre aziende su quattro ritengono il sistema formativo italiano inadatto ai bisogni delle imprese. Una carenza rilevata soprattutto dalle imprese più strutturate, che al loro interno necessitano di una maggiore diversificazione delle figure professionali. E, infatti, ben oltre l’83 per cento delle aziende maggiori, quelle tra i 20 e i 49 addetti, esprime un giudizio drasticamente negativo sui canali dell’istruzione.

Apprendistato promosso. Viene promosso invece l’apprendistato, ritenuto l’unico strumento oggi in grado di fare da ponte tra scuola e impresa. Più di un imprenditore su tre (36,1 per cento) ritiene che l’apprendistato, con il suo mix di studi teorici ed esperienza pratica fatta in azienda, fornisca ai giovani un “buon” livello di preparazione. Va detto che altrettanti imprenditori danno dell’apprendistato un giudizio meno entusiastico, valutando come “media” la preparazione che questo permette di conseguire, così da richiedere un percorso di formazione più lungo e l’affiancamento di lavoratori già esperti (37,2 per cento). Resta comunque una zona d’ombra, importante per dimensione, in cui la figura dell’apprendistato non seduce, o perché considerata poco utile (il 16 per cento degli imprenditori la ritiene “insufficiente”, specie nella sua componente teorica), o perché mai sperimentata direttamente in azienda (il 10,8 per cento delle imprese).
 

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