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Elezioni Municipio I: intervista a Camilla di Marcantonio, candidata presidente con Potere al Popolo

Le priorità di governo: equità e Roma città pubblica

Camilla Di Marcantonio è un ingegnere ambientale, lavoratrice precaria alla Sapienza dove si occupa di ricerca sugli impianti di depurazione. Attivista di Potere al Popolo, impegnata su tutti i fronti della lotta nel territorio cittadino, segue in particolare le tematiche legate all’ambiente e alla gestione dei rifiuti. E' candidata presidente al Primo Municipio.

- Come nasce la sua candidatura?
La mia candidatura è un atto di responsabilità verso il mio municipio, una delle tante forme di un impegno politico indispensabile. E’ facile guardare come vanno le cose, lamentarsi e poi girare le testa. Diventare attivista di Potere al Popolo! vuol dire entrare nei conflitti e nelle problematiche del nostro territorio e scegliere di non guardare da un’altra parte. Se vogliamo una città diversa non possiamo certo restare con le mani in mano. Nessuno verrà a costruirla al posto nostro, e meno che mai le forze politiche che negli ultimi decenni si sono avvicendate nell’amministrazione di Roma, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. In questa campagna elettorale come nella nostra attività di tutti i giorni ho deciso di mettermi in gioco, in quanto giovane lavoratrice precaria che nel primo municipio ci lavora e ci vive. 

- Quali priorità avrà il suo governo?
Il primo municipio è diventato un latifondo dell’economia “mordi e fuggi” che costringe i lavoratori a precarietà e sfruttamento, e che espelle i suoi abitanti “comuni”. Vogliamo opporci a questo, proponiamo una città che riporti al centro il benessere collettivo contro gli interessi degli speculatori nazionali e multinazionali.
Anche il cittadino del primo municipio ha diritto a conservare servizi di prossimità efficienti. Riteniamo indispensabile un serio programma di investimenti nella sanità per tutti e nell’edilizia popolare, che deve essere presente in tutte le aree della città. Vogliamo difendere i diritti dei lavoratori delle attività legate al turismo e al commercio e valorizzare il patrimonio culturale e archeologico anche al di fuori dei luoghi centrali, creando un circuito unico distribuito su tutto il territorio comunale. Il trasporto pubblico dovrà essere potenziato per assicurare alle decine di migliaia di pendolari che lo utilizzano ogni giorno condizioni dignitose e sicure anche nei nodi centrali e più affollati come la stazione Termini. I mezzi pubblici devono rappresentare un’opzione pratica e conveniente, se vogliamo che costituiscano finalmente un’alternativa a un trasporto privato ipertrofico che di anno in anno si fa sempre meno sostenibile. Alla parola d’ordine «decoro» vogliamo sostituire «equità», per dire basta alla povertà criminalizzata. Vogliamo restituire agli abitanti i servizi che gli sono stati sottratti, riaprendo l’Ospedale San Giacomo e ridando vita al Teatro Valle. Il patrimonio pubblico dismesso (Ex-caserma di viale Angelico, deposito ATAC di piazza Bainsizza) deve mantenere un uso sociale, e noi ci batteremo affinché vengano rescisse convenzioni e accordi che lo regalano ai privati per attività a scopo di lucro.

- Cosa pensa di fare per risanare le sorti del commercio nel centro storico cittadino?
La crisi provocata dalla pandemia ha dimostrato una volta di più l’ipocrisia di un sistema economico che attinge alle risorse di tutti per salvare il profitto dei grandi capitali e poi abbandona a se stesse le piccole attività. Crediamo che si debba sottrarre il centro storico al suo sterile destino di vetrina del commercio di lusso. Per ritrovare l’equilibrio di una città sana, contro l’insensata opposizione tutta romana tra centro e periferia, è venuto il momento di risollevare il commercio di quartiere. Per questo ci sembra indispensabile l’introduzione di un equo canone anche per gli affitti ad uso commerciale, che difenda i piccoli commercianti del centro storico dalla speculazione immobiliare e permetta loro di risollevarsi dopo i gravi dissesti subiti negli ultimi due anni. 

- Da un lato la movida, dall'altro i cittadini spesso esasperati. C'è un modo per far convivere le esigenze?
La così detta "mala movida" che esaspera i residenti è la stessa che mantiene i suoi lavoratori in nero, con compensi non proporzionati alle ore di lavoro, la “mala movida” che ha trasformato interi quartieri in area buone solo per ubriacarsi. Siamo sicuri che queste non sono problematiche che si risolvono con la logica del controllo, della militarizzazione delle piazze. Sappiamo che questo è il risultato dell'assenza di spazi sociali, di luoghi pubblici di aggregazione spontanea. È il prezzo che paghiamo per decenni di politiche che hanno privatizzato e svenduto il territorio, a discapito delle condizioni di lavoro e della vivibilità dei quartieri. Mentre intanto venivano chiusi e sgomberati i luoghi di aggregazione spontanea che si sottraevano al grande giro d’affari del divertimento notturno. Per rimarginare lo strappo tra movida e abitanti abbiamo bisogno di spazi culturali sorti dall’iniziativa popolare, spazi utili per lo svago ma anche per ristabilire il dialogo tra cittadini e amministrazione.  

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