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Stranieri al Cie di Ponte Galeria, il garante: “Come animali in gabbia”

Nonostante le numerose denunce di istituzioni e associazioni umanitarie la situazione nel Cie di Ponte Galeria non cambia. Il garante Marroni denuncia: "Sembra di stare allo zoo"

cieNon sono animali ma stanno in celle che sembrano gabbie con grate alte tre metri. Come galline in un pollaio fanno su e giù in spazi logori, respirano aria fetida, si trascinano nella sporcizia, si lavano in mezzo ai topi. Orde di uomini dimenticati in un limbo che è già inferno, privati di libertà e dignità e rinchiusi in un luogo dove il tempo si è fermato. Sono gli “ospiti” del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria che, mentre la burocrazia si arrabatta fra le carte per dare loro un nome e cognome, aspettano in condizioni disumane, come più volte denunciato da istituzioni, volontari e associazioni umanitarie.  

COS’E’ - Non si può vedere cosa accade là dentro, e non si può raccontare, se non rinunciando a una testimonianza diretta. Dallo scorso 1 aprile la circolare 1305 del Ministero dell’Interno, vieta infatti gli ingressi nel Cie alla stampa e a chiunque non sia stato autorizzato in precedenza. Istituita nel 1998 la struttura è stata creata ad hoc per accogliere gli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera", come previsto dalla legge Turco-Napolitano (L.40/1998). All’interno le attività di assistenza sono gestite dalla cooperativa Auxilium che riceve una somma pro capite per detenuto dal ministero. All’esterno una cerchia di polizia interforze circonda la struttura pronta a sedare focolai di ribellione. “Non è un carcere, o almeno non dovrebbe. Tecnicamente si tratta di detenzione amministrativa, una sorta di trattenimento delle persone che sono irregolari sul territorio”. A spiegarci il funzionamento del Cie romano, il più grande d’Italia, è il Garante dei Detenuti del Lazio, avvocato Angiolo Marroni, uno dei pochi rimasti a poter visitare il centro.  

COME FUNZIONA - Da cittadini europei a vittime di tratta, a immigrati da vent'anni in Italia con le famiglie, nel Cie ce n’è per tutti. “Abbiamo quelli che vengono fermati per strada senza documento di identità e permesso di soggiorno - racconta Giulia, collaboratrice del Garante e attiva sul luogo - e quelli provenienti dal carcere che, nella sentenza definitiva hanno anche l’espulsione dal paese”. L’iter procedurale riassunto in pochi passaggi prevede: il fermo dello straniero irregolare, la verifica delle generalità dichiarate, e la ricerca di un contatto con l’ambasciata di origine. E infine, l’attesa. “I tempi di risposta variano molto da paese a paese - spiega il Garante - al momento, solo per fare un esempio, quelli del Maghreb non rispondono proprio”. Se l’identificazione va a buon fine, il trattenuto viene accompagnato dalle forze di polizie all’aeroporto, altrimenti allo scadere dei 6 mesi viene rilasciato con un foglio di via che impone il rimpatrio immediato a proprie spese, “cosa che ovviamente nessuno fa”. E il destino è presto detto: “verrà ripescato e risbattuto dentro per altri 6 mesi”.

I DISAGI - Un livello di vita inferiore a quello di un carcere in cambio di qualche libertà in più. “Le norme imposte sembrano a primo impatto meno rigide - ci racconta Giulia - per esempio hanno il cellulare, ovviamente senza telecamera perché non si possono fare riprese”. Per contro la falla si apre sul fronte delle condizioni igieniche e delle attività di assistenza. “La sporcizia è ovunque, i bagni sono in condizioni disumane e cadono a pezzi” e a ciò si aggiunge che “in quanto luogo di passaggio non c’è la stessa organizzazione che possiamo trovare in un struttura penitenziaria, le attività sono ridotte al minimo, non c’è niente da fare, il tempo non passa e sei mesi possono diventare eterni”. La condotta poi non funziona come in carcere: non c’è il voto finale e nessuno ti premia se fai il bravo. Tra le mura del Cie c’è solo un’attesa che si consuma nel nulla e che porta molti a compiere gesti disperati. “Fanno casino perché non hanno niente da perdere - ci spiega il Garante - qualche giorno fa hanno dato fuoco alla struttura, tutti i letti erano incendiati, hanno dormito tutti per terra, uno spettacolo davvero mai visto”.  

LA NUOVA LEGGE - La situazione sembrerebbe destinata a peggiorare con il decreto legge approvato a metà giugno dal Consiglio dei Ministri che prevede il prolungamento dei tempi di trattenimento all’interno del Cie da 6 a 18 mesi: “L’intento è quello di avere più tempo per l’identificazione e quindi per l’espulsione - spiega Marroni - ma così il rischio di sovraffollamento è alto e, se non migliorano le condizioni, l’unico risultato sarà quello di prolungare il disagio dei trattenuti e fomentare le rivolte interne”. Insomma, una dimensione infernale quella dei detenuti del Cie che, al momento, rischiano solo di vedere triplicata la loro agonia.

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