Derby delle barriere, intervista a Ubaldo Righetti: "C’è una legge per tutti gli stadi e una solo per l’Olimpico"
L'ex calciatore della Roma, oggi voce 'tecnica' di Teleradiostereo, analizza il momento della tifoseria giallorossa: "Le barriere sono ridicole e difficili da comprendere. Il complicato tema della sicurezza sugli stadi in Italia si è trasformato in sicurezza dello stadio Olimpico"
Campione d'Italia nella stagione 1982-83, Ubaldo Righetti ha giocato oltre cento partite con la maglia giallorossa. Oggi, con Riccardo “Galopeira” Angelini (foto sotto) e Gabriele Ziantoni, conduce su Teleradiostereo la fascia oraria dalle 10 alle 14. Lo abbiamo intervistato negli studi dell'emittente radiofonica a margine della trasmissione, in vista del derby del 4 dicembre, l'ennesima stracittadina con la curva Sud tristemente vuota. Ecco le parole di chi è stato per anni al centro della difesa giallorossa per poi ritrovarsi nel settore 10 della tribuna Monte Mario a tifare Roma e, soprattutto, “a guardare lo spettacolo offerto dalla Curva Sud”.
La prima domanda non può che essere al Righetti ex calciatore: lei che sa il vero significato di 90 minuti tra Roma e Lazio, possiamo chiamare la sfida di domenica prossima un “derby”, considerando che la Sud non ospiterà la parte più calda del tifo?
Ho avuto la fortuna di vivere gli anni d'oro della Roma e della Curva Sud da protagonista in campo e non posso che partire da una considerazione: è arrivato il momento di smuovere una situazione, quella delle cosiddette 'barriere', ridicola e anche difficile da comprendere. Sportivamente parlando, una situazione che non può che condizionare in maniera negativa una squadra chiamata a giocare senza il sostegno della parte più calda del tifo. Più volte ci è capitato, come squadra, di affrontare un derby senza la giusta forza fisica, tattica o mentale. Ma spesso siamo poi riusciti a vincere la partita grazie al supporto della curva. Posso dire senza timore di essere smentito che molte volte la Sud ci ha tirato fuori dai problemi in campo. E non è un caso che a ogni derby la prima cosa che facevamo una volta scesi dal pullman non era andare negli spogliatoi, ma sotto la curva per catturare tutta l'energia che quella gente era in grado di darci. In cinque, dieci minuti passati a guardare la Sud riuscivamo a trovare le forze per lottare su ogni pallone per tutti i 90 minuti di gioco. Per questo posso immaginare quanto stiano soffrendo insieme ai tifosi anche i calciatori.
Ora però ha un altro ruolo: che lo voglia o no, è anche lei megafono del tifo romanista. Che clima percepisce in città e tra i sostenitori della Roma? Che tono hanno le telefonate che vi arrivano in radio?
La curva non è solo tifare la propria squadra come può pensare chi non ha mai messo piede in uno stadio. La curva è condivisione, sono rapporti di amicizia, è un momento per stare insieme. Ecco, parto da qui. La curva è condivisione. Ma a Roma non c'è più la curva. Ci sono, però, e ci saranno sempre gli ultras della Roma. E molti chiamano in radio. Capiamo subito quando chi ci parla, e magari critica tutto e tutti, lo fa con la mente fredda di chi vede le partite della Roma o con il cuore caldo chi le vive. O le viveva. Ora molti di loro sono confinati davanti alle tv e non possono più condividere la loro passione. Ecco, posso dire che ogni giorno che passa riceviamo più telefonate che dobbiamo in qualche modo assorbire, ascoltare, capire perché chi chiama spesso sfoga tutto il suo disappunto personale per quello che gli è stato tolto.
Ha la sensazione che si stia esagerando sulla questione delle curve a Roma? C'è, a suo avviso, una criminalizzazione degli ultras della Capitale?
Sono i fatti a parlare. Il tema della sicurezza sugli stadi in Italia si è trasformato in sicurezza dello stadio Olimpico di Roma. Sembra che stiano sperimentando qui qualcosa che poi sarà replicato altrove. Ma non mi sembra che negli altri stadi tutto funzioni alla perfezione: ogni lunedì leggiamo le cronache e non è difficile imbattersi in articoli che parlano di “momenti di tensione”. Ma alla base c'è l'assurdo giuridico che vede un'intera curva, un'intera tifoseria pagare per il comportamento dei pochissimi che vanno allo stadio solo per dare sfogo alla propria natura violenta. Eppure parlano di vittoria della sicurezza. E allora se sono così bravi come dicono a individuare i responsabili dei “momenti di tensione”, li prendessero e li punissero anziché accanirsi contro un'intera tifoseria.
Una domanda impossibile: quali sono secondo lei le soluzioni per uscire da questa impasse che ha come unico risultato l'ennesimo derby senza tifo?
Come hai detto tu, è impossibile rispondere. Ma una cosa posso dirtela: quando ho smesso di giocare ho iniziato ad andare allo stadio da tifoso e in molte occasioni ho portato con me degli amici non romanisti. Loro non venivano per vedere la partita, ma per ammirare la Curva Sud. Sedevamo in Montemario, settore 10, quello più vicino alla vetrata e loro passavano gli interi novanta minuti girati verso destra, a fissare quello spettacolo. E ogni volta che la curva esplodeva per un gol, restavano a bocca aperta. Poi mi chiedevano: “Chi ha segnato, che non stavo guardando il campo?”.