Vinicio Marchioni e l'immobilismo post-terremoto alla Festa del Cinema: "Racconto le speranze di chi resiste"
"Il terremoto di Vanja" è il titolo del docufilm diretto ed interpretato da Vinicio Marchioni, che sovrappone la realtà dei terremotati de L'Aquila e Amatrice al mondo di Checov e del suo "Zio Vanja"
Nella sezione Riflessi della Festa del Cinema di Roma, è Vinicio Marchioni ad aprire una finestra sull'immobilismo post-terremoto, con un documentario non di denuncia, ma che ha l'obiettivo di raccontare l'umanità dei terremotati, il modo in cui resistono, secondo lo sguardo di Anton Checov.
"Il terremoto di Vanja", questo il titolo del docufilm diretto ed interpretato da Vinicio Marchioni e presentato in anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma da Marchioni, Milena Mancini, Pepsy Romanoff e Maurizio Vassallo. Un progetto ambizioso, un desiderio, quasi un'ossessione - come lo stesso attore l'ha definita - iniziata dallo studio del testo di Anton Checov "Zio Vanja" e dal suo adattamento teatrale che l'attore e regista romano ha portato in tournée, fino alla replica al teatro ridotto de L’Aquila.
"Ho iniziato ad analizzare e leggere zio Vanja per lo spettacolo teatrale - ha raccontato Marchioni - e questa piantagione, dove il grano non cresce, con questi 40enni già senza speranza, mi ha fatto pensare alla situazione italiana, alla crisi economica, ai cinema e ai teatri che chiudono. E ai protagonisti dei terremoti che, negli ultimi anni, hanno interessato il nostro paese".
Tornato a casa, a tournée conclusa, invece di buttare via tutti gli appunti, come è solito fare alla fine di un lavoro, l'attore - alla prima regia teatrale - li ha riaperti, ha deciso di rileggerli tutti e ha sentito l'esigenza di Checov: "Mi mancava, come un amico lontano che non ti scrive più", ha ammesso Marchioni.
"L'ambizione di questo documentario è di riportare l'attenzione su quelle persone che il terremoto lo hanno vissuto, per capire come stanno oggi, quali speranze hanno per i loro figli. Non un documentario di denuncia, dunque, ma che avesse lo stesso sguardo di Anton Checov in Zio Vanja, un'istinto di amore e di compassione".
Il docufilm di Vinicio Marchioni a 10 anni dal terremoto de L'Aquila
A dieci anni dal terremoto che ha distrutto L’Aquila e a tre da quello di Amatrice, Il terremoto di Vanja torna ad indagare sull'immobilità italiana post-terremoto, attraverso lo sguardo tragicomico di Checov, mostrando al pubblico la straordinaria forza umana dello scrittore e riportando l’attenzione sulle persone che ancora oggi combattono contro i danni subiti da quei tragici eventi. Il tutto avviene attraverso un dialogo ideale tra Marchioni e Cechov - a cui ha prestato la voce Toni Servillo – e all’alternanza dei luoghi e delle situazioni filmate a colori e in bianco e nero. Importanti i contributi di Andrej Kon?alovskij, Gabriele Salvatores e Fausto Malcovati.
"E' un film sulla resistenza dei sogni, delle speranze e ho ritenuto che fosse importante supportare questa ossessione di Vinicio - ha detto Milena Mancini attrice e anche curatrice di soggetto e sceneggiatura - ho fatto un lavoro di supporto, ma ho ritenuto anche giusto lasciare Vinicio solo, in alcuni momenti, come ad esempio nel suo viaggio in Russia, sui luoghi di Checov".
Nel cast due vecchi amici di Vinicio Marchioni
Nel cast de Il terremoto di Vanja, compaiono Francesco Montanari e Lorenzo Gioielli, due vecchi amici di Vinicio Marchioni, insieme a lui anche su set di Romanzo Criminale - La serie: "Ho ritrovato due amici - ha detto Marchioni riferendosi ai due attori in conferenza stampa - per questa esperienza volevo al mio fianco persone per cui nutrivo una grande stima professionale e con cui ci fosse già una certa confidenza. Lorenzo è prima di tutto autore, regista. Francesco un attore con cui abbiamo instaurato un rapporto di amicizia al di là di quella serie".
A rendere possibile questo grande e complesso lavoro è stata la presenza, l'impegno e la versatilità di Pepsy Romanoff, curatore della fotografia, del soggetto, della sceneggiatura, oltre che showrunner: "Non è stato un lavoro facile - ha ammesso Romanoff - la mia conoscenza del teatro era pari a zero, non sapevo chi fosse Checov, ammetto la mia ignoranza, ma forse è stato questo l'ingrediente per accendere una miccia e mettere in discussione, continuamente, le dinamiche di questo progetto. 'Fare bisogna fare' diceva Chechov e noi penso che l'abbiamo fatto".
“Quelli che vivranno dopo di noi, fra due o trecento anni e ai quali stiamo
preparando la strada, ci saranno grati? Si ricorderanno di noi con una parola
buona?”
Anton ?echov