El nùmero nueve, Batistuta torna da Re a Roma: “Ho pianto per il gol dell’ex alla Fiorentina”
Batigol ad Alice nella Città per presentare il docufilm sulla sua vita: un viaggio nella sua carriera sportiva tra sacrifici, aneddoti e affetto. “Tifosi mi vogliono ancora bene”
Ricordi e aneddoti mai svelati, i sacrifici e la perseveranza necessari per vincere e diventare un campione: uno di quelli amati, temuti e rispettati ovunque. C’è tutta la vita di Gabriel Omar Batistuta nel docufilm che lo racconta: “El nùmero nueve”, arrivato ad Alice nella Città, la sezione autonoma della Festa del Cinema di Roma.
El nùmero nueve: il docufilm su Gabriel Omar Batistuta
Tra le pagine di questa narrazione, condotta con estrema maestria da Pablo Benedetti, è la voce dello stesso Batistuta ad accompagnare lo spettatore in un viaggio nella vita e carriera sportiva di Batigol.
Dalla Copa America vinta con l’Argentina, alle coppe alzate con la Fiorentina in cui ha militato per dieci anni, poi lo scudetto con la Roma e il passaggio all’Inter.
Non solo un racconto di emozioni, trionfi, e gol sul campo: “El nùmero nueve” narra pure le delusioni, i sacrifici, i dolori anche fisici di un calciatore. Oltre le apparenze e gli stereotipi.
La vita di Batistuta diventa un film
Un docufilm su Gabriel Omar Batistuta, l’uomo e non solo il calciatore. Uno sguardo intimo e profondo che, svelando segreti e retroscena, rivela i tratti più personali di uno dei numeri 9 più amati del calcio italiano e internazionale.
Dopo la lontananza dalle scene, a causa della malattia che lo ha colpito ma anche per proteggere la sua famiglia e i suoi quattro figli, il Re Leone aveva voglia di raccontarsi “ma non ai grandi, ai più piccoli”.
Da qui nasce “El nùmero nueve”. “Tanti giovani, come i miei figli adolescenti faticano a trovare la loro strada, così volevo raccontare loro come io ho travato la mia. Volevo farlo in modo veritiero”.
A 18 anni Batistuta si immaginava già da adulto, capendo che il calcio avrebbe potuto dargli quello che desiderava. Nessun eccesso, la volontà di condurre una vita normale: una casa, una famiglia, una bella automobile.
Batistuta si rivela: “Di calcio? Non sapevo nulla”
“Io di calcio, a parte calciare, non sapevo nulla” – ammette Batigol. “Mi hanno voluto bene anche per questo: perché sono stato uno normale, trasparente, che andava a lavorare tutti i giorni”.
Un operaio del calcio, con orari e ritmi come quelli degli impiegati che timbrano il cartellino o gli studenti sui libri con la ferma volontà di fare carriera.
“Mi sono dovuto impegnare come tutti e volevo che i giovani lo sapessero perché ci vedono sulle copertine, con delle belle automobili ma spesso non immaginano quello che c’è dietro. Io ho dovuto lavorare molto: non ero come Maradona, Messi o Ronaldo che il calcio lo hanno dentro, nel destino. Eppure ce l’ho fatta: sono l’esempio del fatto che – ha detto Batistuta davanti agli studenti presenti alla proiezione de El nùmero nueve – per raggiungere un obiettivo bisogna impegnarsi e darsi da fare”.
Batistuta, il Re Leone idolatrato a Firenze e amato a Roma
Idolatrato a Firenze, ancora molto amato a Roma. “Tutti desiderano vincere per se stessi, per la squadra ma anche per i tifosi. Avrei voluto fare sempre almeno tre gol a partita, ma non sempre è facile né possibile. Dai tifosi – racconta il Re Leone – ho sempre cercato il rispetto: la voglia di fare gol c’è sempre stata. Ho vinto pochi trofei ma loro (i tifosi, soprattutto quelli della Fiorentina e della Roma ndr.) mi ricordano ancora e mi rispettano dappertutto”.
Il go dell’ex di Batistuta in Roma-Fiorentina: “Ho pianto"
Nella storia di Batistuta anche il gol dell’ex in un Roma-Fiorentina della stagione 2000-2001, quella dello scudetto dei giallorossi.
Batigol batté Toldo a pochi minuti dalla fine della gara regalando alla Roma tre punti importanti verso la corsa scudetto: non esultò. In lacrime, fu travolto dall’abbraccio dei compagni.
"Per fortuna della Roma siamo riusciti a vincere con quel gol, è stato difficile ma rimane un bel ricordo. Fu una forte emozione, dopo 20 anni è più facile. Se ho pianto? Sì. I compagni hanno compreso le mie lacrime. Sono sempre stato un professionista. All’epoca mi pagava la Roma, dovevo accontentare società e tifosi: ho sempre preso così la mia carriera. Per questo ancora mi rispettano”.