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Viaggio della Memoria, Auschwitz e Birkenau: studenti commossi tra i campi dell'orrore 

I racconti dei sopravvissuti Andra Bucci e Sami Modiano accompagnano la visita ai lager nazisti. Raggi: "Testimoni riaprono per noi le loro ferite"

"Può alzare la voce?", "non si sente niente", "può ripetere per favore?". Le cuffie fornite in dotazione dal museo non funzionano bene. Anche la sindaca Raggi, della piccola defaillance poi risolta, è visibilmente scocciata. "Non era mai successo gli anni scorsi" commenta sotto la pioggia battente. Gli studenti si lamentano, sono preoccupati di perdere anche solo una parola del racconto dei sopravvissuti. L'occasione è grande, di quelle che potrebbero non tornare.

Andra Bucci e Sami Modiano hanno 80 anni la prima, 90 il secondo. Sono due italiani sopravvissuti ai campi di sterminio nazifascisti. Quelli oggi ancora in vita si contano sulle dita di due mani. Guidati nella narrazione da Marcello Pezzetti, massimo esperto di Shoah in Italia, hanno accompagnato 145 ragazzi provenienti da 30 scuole della Capitale nella visita ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, seconda tappa del Viaggio della Memoria organizzato dal Comune di Roma.

Si parte dalla Judenrampe, la rampa degli ebrei, un tronco ferroviario esterno ai campi che fino al '44 è stato utilizzato come punto di smistamento dei rastrellati dai ghetti. Anche quelli di Roma, deportati il 16 ottobre 1943, arrivarono qui per una prima selezione. Donne e bambini da una parte, uomini da un'altra. Chi era abile al lavoro a destra, diretto ad Auschwitz I, condannato a morire di stenti e fatica, chi era giudicato inabile a sinistra, verso Birkenau e le sue camere a gas. Poi è la volta dei lager, distanti poco meno di un chilometro: i blocchi in muratura dei bambini, quel che rimane del forno crematorio, la cosiddetta "sauna", dove chi scampava la prima ripartizione veniva spogliato e tatuato. Un girone infernale sulla terra, scandito dalle parole di chi lo ha vissuto.

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"Non riesco a esprimere quello che i miei occhi hanno visto qui". Sami, deportato a 13 anni da Rodi (allora italiana) nel 1944 su una barca piena di escrementi con cinque taniche d'acqua per dissetare l'intera comunità ebraica dell'isola, 200 persone, è sfuggito all'orrore. Con la voce rotta mette insieme i flash di quei giorni. Il padre massacrato di botte perché non voleva staccarsi dalla figlia Lucia, femmina e quindi destinata a un'altra parte di campo, gli ordini brutali impartiti dalle SS, l'ultimo abbraccio con la sorellina divisi da un filo spinato. "Quando ho capito che potevo non uscire vivo sono andata a cercarla, sapevo dove stavano le donne, l'ho trovata rasata, magra, non era lei. Le ho lanciato una fetta di pane, lei mi lasciava sempre del cibo quando eravamo a tavola, a Rodi. Stavolta l'ho fatto io per lei. Ci siamo fatti dei gesti, degli abbracci da lontano. È stato il nostro ultimo saluto". 

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Andra invece era ancora più piccola. Una bimba. "Ricordo che correvamo da una parte all'altra, pensate, giocavamo tra i cumuli di cadaveri che stavano sul campo". Strappata via dalla casa di Fiume, allora città sotto il dominio italiano, insieme alla sorella Tatiana. Avevano 4 e 6 anni. "Faceva freddo, tanto freddo, sono andata a vedere su internet che temperature c'erano nell'inverno del 1944. Meno dodici gradi". Sopportati con delle polacchine troppo larghe per un piede di bambina, "così larghe che per tenerle su dovevo trascinarle con le dite rattrappite". E addosso soltanto un pigiama. "I bambini erano lasciati liberi di girare senza orari, siamo state fortunate perché una guardia ci prese in simpatia. Ci dava qualcosa in più da mangiare e anche qualche vestito in più per coprirci". Anche lei, come Sami, ha ancora incubi. "Mi sveglia mia figlia di notte, mi dicono che urlo, con la voce che sembra quella di una bambina". Ma il numero impresso sulla pelle con l'inchiostro non vuole cancellarlo. "Non mi è mai passato nella testa, fa parte di me".  

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(In foto da sinistra Marcello Pezzetti, Sami Modiano, Andra Bucci)

Nessuno fiata durante racconti che riportano in vita un dolore così vicino da sembrare di ieri. Attenti, commossi, i giovani, molti ancora minorenni, seguono ipnotizzati senza preoccuparsi di trattenere il pianto. Battono le mani. "Tutto quello che faccio - dice Sami - lo faccio per voi". E' il passaggio di testimone per non perdere la memoria, quella diretta, destinata a scomparire in pochi anni. "Sono felice oggi, perché credo di lasciare qualche cosa in questa vita, qui, in questo campo, dove c'era soltanto la morte". Un impegno quella trasmissione degli orrori della Shoah che la stessa sindaca Raggi prende in prima persona. "Ci sono i Viaggi della Memoria e altri progetti avviati sempre insieme alle scuole. Penso a Testimone dei testimoni, che ha prodotto anche una mostra finale". Un ponte importante tra istituzioni e giovani generazioni, chiamate a diventare custodi del ricordo

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(In foto: Sami Modiano)

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