Via Veneto ha un’occasione unica. Ma non lo ha ancora capito
Invece di guardare al passato e ai tempi della Dolce Vita, la famosa strada dovrebbe combattere la burocrazia e puntare sulle opportunità e le sfide del futuro. Ad esempio l’arrivo di una inedita infilata di nuovi hotel di lusso
Periodicamente si torna a parlare di Via Veneto. La chiave è sempre la solita: “non è più quella di una volta”. A questo giro il merito, per così dire, è di Carlo Verdone, che si rammarica delle condizioni di abbandono dello storico Cafè de Paris.
Via Veneto, da anni, vive un malinteso urbanistico alimentato da chi la vorrebbe macchietta di se stessa, da chi la vorrebbe replica di quella che fu per un breve intervallo di tempo sei decenni fa. Ma le strade cambiano, le zone cambiano, le mode si modificano, le città evolvono (alle volte, a Roma lo sappiamo bene, involvono). Via Veneto non è più la stessa, e menomale! Come a Londra non è più la stessa Carnaby Street; come a New York SoHo non è più la SoHo degli Anni Settanta. Come a Parigi non si va più a Montmartre per sentire le vibrazioni della città. Solo che a Londra, a New York e a Parigi, nessuno continua a piangere sui tempi andati e piuttosto si guarda all’oggi e al domani.
Via Veneto dalla dolce vita ai grandi alberghi
Il domani di Via Veneto ci parla di un’identità ricettiva di alto profilo. Intendiamoci, non che i grandi alberghi abbiano latitato in passato da queste parti, ma da qui a breve si andrà verso un autentico boom: ha aperto il W, sta per aprire l’Edition, il Rosewood dove c’era la sede di BNL, si è riqualificato l’Aleph e si riqualificherà il Majestic e l’Excelsior. E poi ci sarà l’hotel Nobu e, a poca distanza, pare proprio che arrivi il Mandarin. Invece di pensare a come impacchettare questo strabiliante distretto alberghiero, la città si rovella sugli Anni Sessanta e la Dolce Vita: uno spreco.
E intanto via Veneto, a causa di questa miopia, di questa scarsa visione prospettica e di una burocrazia incapace di invogliare (o quanto meno di seguire) gli investimenti privati, rischia di non essere in grado di rispondere a questa ondata di nuovi alberghi a 5 stelle che costituiranno la sua caratteristica di qui a breve.
Attenzione però: la burocrazia non la trovi solamente in un palazzo comprato da miliardari asiatici che non riesce a rigenerarsi a causa del caos autorizzativo capace di far passare la voglia perfino al più scafato magnate e investitore (questa con ogni probabilità è la storia dell’edificio che contiene il Cafè de Paris). La burocrazia che impedisce ad una strada importante di affrontare le sfide a testa alta la trovi un po’ dovunque. Nella Soprintendenza ad esempio, che mette veti perfino sui paletti anti sosta selvaggia (e quindi orde di auto parcheggiate dovunque sui marciapiedi); nella difficoltà di realizzare preferenziali e ciclabili (si, cari lettori che ci seguite da fuori Roma: Via Veneto è priva di una pista ciclabile!); nelle procedure bizantine per affidare a privati e mecenati la cura delle aiuole che infatti versano in condizioni non accettabili; nell’assurda gestione solo romana della cartellonistica pubblicitaria che obbliga anche strade di questa caratura ad essere puntellate di patetiche insegne peraltro quasi tutte invendute (“spazio disponibile, chiamare il…”). E ci si mettono anche i comitati di cittadini, particolare forma di pseudo-burocrazia romana tutta particolare, capace di lavorare sistematicamente contro il proprio interesse: “non allarghiamo i marciapiedi, sono già troppo larghi”. Ma come sarebbe a dire? È ovvio che una strada che ospita una dozzina di alberghi di altissimo livello deve puntare tutto sulla pedonalità se vuol rinascere.
La nuova sfida di Via Veneto
Forte del suo mix inedito in città tra offerta ricettiva di prim’ordine, residenzialità altolocata, sedi istituzionali, ambasciate e spazi innovativi per il lavoro (da Deloitte a Spaces), Via Veneto ha di fronte una sfida: non certo quella di guardare a ritroso e tornare la strada della Dolce Vita imitando in maniera posticcia e pacchiana il passato remoto, bensì quella di diventare una strada-icona contemporanea, accogliente per un pubblico sofisticato, esigente, internazionale. Oltre che inclusiva per tutti i cittadini che vogliano concedersi una passeggiata soddisfacente. La sfida di diventare uno dei simboli di una città che vuole rinascere all’insegna della qualità assoluta e senza compromessi in nome dei più elevati standard globali e dell’eliminazione di qualsiasi infingimento, di qualsiasi sciatteria, di qualsiasi limite artificiale e ideologico alla propria ambizione di sviluppo. Ma Roma vuole davvero raccogliere questa sfida…?