L'insostenibile leggerezza dell'essere contro le piste ciclabili
*Portavoce EuropaVerde Roma e Verdi Roma
L'articolo di Roberto Riccardi “Mobilità dolce, una narrazione controcorrente” sferra una dura critica all’incremento delle piste ciclabili nella Capitale, al punto di sostenere che "il futuro a Roma non è a pedali" e che le ciclovie, in sostanza, sarebbero addirittura dannose, visto che non solo non risolvono il problema del traffico, ma addirittura lo peggiorano, perché rallentano gli spostamenti in auto.
Si tratta però di una posizione strumentale o dettata da un vero e proprio errore di prospettiva – una insostenibile leggerezza – cioè ritenere che la qualità del diritto alla mobilità di tutt@ i romani dipenda dal poter disporre o meno di una carreggiata ampia e di più numerosi parcheggi, per giunta collocati in aree medio-centrali della capitale.
La realtà, invece, è che Roma, nel 2019 (prima del lockdown), era la seconda città al mondo per tempo passato in auto dai cittadini, alle spalle di Bogotà, con un rapporto auto-abitanti di 74 auto ogni 100 residenti, mentre Parigi presenta un rapporto di 25 a 100.
Il problema della mobilità a Roma – non lo diciamo noi ecologisti ma svariati studi tecnici di ingegneria trasportistica – si risolve solo diminuendo il numero di autovetture private circolanti sulle strade della Capitale e, quindi, con un massiccio incremento del trasporto pubblico locale.
Se non si parte da questo dato di fatto, prendersela con le ciclabili significa contrapporre artificiosamente due categorie di cittadini – gli automobilisti ed i ciclisti – e spingerli a beccarsi tra di loro come i “polli di Renzo”, quando invece avrebbero entrambi interesse a reclamare una mobilità pubblica davvero efficiente.
Nessuno dei sostenitori della mobilità dolce pensa che le biciclette possano risolvere da sole l’enorme problema della mobilità a Roma. Anche se crediamo che la realizzazione di piste ciclabili in una metropoli sia garanzia di rispetto del “diritto alla mobilità” di tutte le categorie dei cittadini, sappiamo bene che non saranno le ciclovie a rimediare al dissesto di ATAC, o al fatto che Roma – che presenta all’incirca la stessa espansione (sarebbe più corretto dire “consumo del suolo”) di Londra – è servita solo da due linee metropolitane e mezzo, rispetto alle undici della capitale britannica. E non sarà certo un aumento del numero dei ciclisti a svecchiare il nostro parco autobus-flambé, che ha un’età media di trent’anni.
Servono invece interventi strutturali sulla rete, ed un risanamento gestionale dell’erogazione del servizio, che renda possibile realizzare quegli stessi interventi: la posa di linee su ferro di superficie (tramvie), il completamento della linea C, la chiusura dell’anello ferroviario a Nord, l’ammodernamento della Roma-Lido, la realizzazione di almeno una linea metro o ferrovia urbana circolare, che decongestioni Roma e le consenta di svilupparsi come città policentrica. E, nel mentre si eseguono queste “grandi opere” (non il Ponte sullo Stretto, per favore…), si possono realizzare piccoli interventi di raccordo e razionalizzazione delle linee esistenti, in tempi ed a costi minori, come proposto dal collettivo Metrovia.
Tuttavia, Roma Capitale, giunti alla fine del mandato Raggi, sembra essere rimasta ferma a cinque anni fa, incapace di ottenere fondi dal Governo nazionale (che ha sempre visto il M5S saldamente nella maggioranza) ed ancora oggi trascurata dal PNRR, che – tanto per dirne una – prevede il finanziamento di appena 240 km di rete di trasporto pubblico attrezzato, dei quali solo 11 km di metropolitane, a quanto pare destinati, in sostanza, al completamento della metropolitana di Catania.
Roma sembra quindi destinata a rimanere invasa dalle auto, e non per colpa delle piste ciclabili, ma perché la classe politica, a dispetto delle tante parole bipartisan sulla “transizione ecologica”, non vuole offrire a chi è costretto ad utilizzare il veicolo privato, un trasporto pubblico locale che rappresenti una valida e convincente alternativa. Ossia – per utilizzare le parole di Alexander Langer – non si vuole offrire una conversione ecologica che sia davvero socialmente desiderabile per tutt@.
Fregandosene beatamente, così, anche dell’impatto sulla nostra salute dei tubi di scappamento: ogni anno sono oltre 80mila le morti premature in Italia dovute all’inquinamento atmosferico, una sorta di stabile pandemia, che desta meno allarme, ma uccide molto più del COVID-19, con costi sanitari comprendenti le malattie, le cure, le visite, i giorni di lavoro persi, che solo in Italia oscillano tra 47 e 142 miliardi di euro all’anno (330 – 940 miliardi a livello europeo).
Così correttamente impostata la discussione – e ribadito che non bisogna incentivare l’uso dell’auto privata da parte dei romani, ma offrire alternative ad essa – resta però che a Roma, anche sulle piste ciclabili, il M5S, ha fallito, forse perché più interessato ad accaparrarsi il voto del ciclista, che a fare il bene della collettività.
In questi anni troppo spesso abbiamo visto percorsi ciclabili mal progettati, decisi senza un’adeguata previa partecipazione della cittadinanza, collocati nei settori sbagliati delle carreggiate, costruiti con materiali scadenti, o male inseriti nel paesaggio.
Ma lo stesso fallimento, riscontriamo nelle scale mobili ferme da mesi nelle stazioni della metro, o nella raccolta differenziata che è diminuita, o nella mancata attuazione del diritto all'abitare, e nessuno arriva a sostenere che, per il bene di Roma, in futuro, si dovranno abolire le scale mobili, eliminare la raccolta differenziata, cancellare le graduatorie per la casa.
Perciò, mentre è sacrosanto criticare una ciclabile fatta male (ed anche noi di Europa Verde, ad esempio, abbiamo avanzato qualche perplessità sulla pista di Via Tuscolana e, pur sostenendo l’importante progetto del GRAB, abbiamo espresso dubbi sulla tratta che dovrebbe passare dentro Villa Ada), è assolutamente sbagliato attaccare il concetto stesso di mobilità dolce.
Certo, chiunque vorrebbe trovare sempre parcheggio sotto casa, ma forse, ancor meglio di questo, sarebbe potersi muovere per Roma senza auto, su mezzi pubblici puliti e puntuali, respirare aria pura, e poter spendere un'ora in più al giorno passeggiando al parco o pedalando, piuttosto che inscatolati sul grande raccordo anulare.