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Venerdì, 19 Aprile 2024
Politica Alessandrino / Via Vincenzo Tineo

Residence, sola con tre figli sotto sgombero: "Fuori dalla graduatoria per una residenza in una casa popolare di vent'anni fa"

Veronica ha il reddito per accedere all'assistenza e alla casa popolare. Ma rischia di restare in mezzo a una strada con i suoi tre figli minorenni

Prima la comunicazione dello sgombero da parte del Comune di Roma. Poi la vittoria al Tar: annullato. Veronica, tre figli minorenni a carico, residente nel Centro di assistenza alloggiativa temporanea di via Tineo, all’Alessandrino, pensava di essere riuscita a evitare lo sfratto. E invece, gli effetti della sentenza del tribunale amministrativo sulla revoca del servizio deciso dal dipartimento Politiche Abitative del Campidoglio sono durati solo pochi giorni. Dal 7 al 21 giugno. In quella data è stata emessa una nuova ordinanza di revoca: Veronica, invalida a causa di una malattia rara che ne compromette la mobilità, e i suoi tre figli di 15, 13 e 9 anni, anche loro invalidi, uno dei quali al cento per cento, per gli uffici capitolini deve provvedere al “rilascio immediato” dell’alloggio. Se non lo faranno, dovrà pagare 62 euro per ogni giorno di “assistenza non dovuta”. Non solo. Il rischio, si legge nella comunicazione, è di commettere il reato di interruzione di pubblico servizio. 

Romatoday ha raccontato la storia di Veronica il 2 gennaio del 2018. Pochi giorni prima, il 27 dicembre del 2017, un gruppo di agenti della polizia locale le aveva comunicato che lei e i suoi tre figli, che al tempo avevano 13, 11 e 7 anni, avrebbero dovuto lasciare l’immobile entro una decina di giorni. Il motivo? Il Comune di Roma si è accorto che Veronica, oltre vent'anni anni prima, dal settembre del 1996 all’aprile del 1997, ha registrato la propria residenza in un appartamento di edilizia residenziale pubblica regolarmente assegnato a un'altra persona. Veronica aspettava la sua prima figlia, la quarta, che oggi non vive più con lei. Di quel periodo ricorda: “Non potevo più risiedere nell'abitazione di mia madre e avevo paura che non avendo una residenza da dichiarare mi avrebbero segnalato come senza fissa dimora togliendomi mia figlia”, ha raccontato. “Così ho chiesto a un parente di poter mettere temporaneamente la residenza a casa sua, una casa popolare”.

Passano gli anni. Prima la casa in affitto, poi la vita in un’occupazione a Tor Sapienza e alla fine lo sgombero. Quasi un anno in un albergo messo a disposizione dall'amministrazione, un altro anno in un residence sulla via Colombo e poi il trasloco definitivo in quello di via Vincenzo Tineo, all'Alessandrino. Veronica avanza domanda per una casa popolare. Risulta ammessa. Il 23 giugno del 2016 dal dipartimento Politiche Abitative le comunicano che ha 61 punti in graduatoria. Sono molti punti, tanto che Veronica aveva iniziato a pensare di avercela quasi fatta ad ottenere un alloggio pubblico. Ha anche il reddito Isee adeguato per accedere al nuovo servizio di assistenza alloggiativa temporanea, i cosiddetti Sassat, con il quale il Comune, con non pochi problemi, vuole sostituire i vecchi residence. Poi l'indagine del dipartimento capitolino: per qualche mese, oltre vent'anni prima, Veronica ha registrato la residenza in una casa popolare senza che l'assegnatario, sostiene il Campidoglio, l'abbia comunicato all'Ater. Salta tutto. Senza diritto a restare in graduatoria, salta anche quello al contributo per il buono casa e, di conseguenza, niente accesso al Sassat. E se non puoi stare in un Sassat, addio residence. Arriva la revoca e l’annuncio dello sgombero. 

Nel febbraio del 2019 il Tar accoglie il ricorso presentato contro la revoca, relativo alle modalità con la quale è stata presentata, ma, nel merito, conferma l’esattezza della decisione del Campidoglio. “L’amministrazione ha fatto corretta applicazione della normativa disciplinante la materia”, scrivono i giudici amministrativi. Così il 7 giugno il dipartimento Poltiche Abitative comunica a Veronica l'annullamento formale della comunicazione di avvio del procedimento di revoca. Eppure, la serenità dura poco. Il 21 giugno 2019 prende il via un nuovo iter. 

Veronica e i suoi tre figli di 15, 13 e 9 anni devono lasciare il residence di via Tineo. “In assenza di rilascio spontaneo dell'alloggio, sarà cura di questo ufficio provvedere all'emissione di un provvedimento di accesso e sgombero forzoso del medesimo alloggio”, si legge nella comunicazione. Non solo. Il dipartimento sottolinea anche il rischio di incorrere nel reato di interruzione di pubblico servizio, "che prevede la reclusione fino ad un anno". E ancora: “Poiché è obbligo dell'amministrazione capitolina provvedere al recupero delle spese sostenute "per il servizio non dovuto", si legge, "è formalmente messa in mora per la restituzione delle stesse" che nel caso di Veronica ammontano a 62 euro al giorno

“Sono stati presentati più ricorsi al Tar, sia contro la revoca dall’assistenza alloggiativa, sia contro la decadenza dal buono casa”, ha spiegato Pierluigi Alessandrini, avvocato difensore di Veronica. “Non abbiamo potuto presentarlo, invece, contro la cancellazione dalla graduatoria per l’accesso a una casa popolare, in quanto la determina dirigenziale che lo ha stabilito non è mai stata trasmessa. Ora stiamo preparando un ricorso al Tar contro la nuova revoca e uno al Consiglio di Stato contro la sentenza che ha confermato la correttezza dell’operato del Comune. La norma che regola le assegnazioni esclude gli occupanti dalla graduatoria ma non dice che se registri una residenza in un appartamento regolarmente assegnato lo diventi. Senza considerare che sono passati più di vent’anni e oggi è difficile dimostrare se quella comunicazione all’Ater sia stata avanzata o meno”. Intanto per Veronica e i suoi si riapre l’incubo di restare per strada. 

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