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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Si scrive sgomberi si legge emergenza abitativa: sulle occupazioni la corsa a ostacoli delle alternative abitative

Dello sgombero dell'occupazione di viale del Caravaggio se ne parla da agosto del 2019. Ma per sistemare 120 famiglie in emergenza abitativa serve un piano

La bagarre politica e mediatica che si è sviluppata attorno alla vicenda della sede di CasaPound in via Napoleone III, all’Esquilino, ha avuto l’effetto di riaccendere i riflettori sul piano degli sgomberi dei palazzi occupati nella Capitale. Con il sequestro preventivo anche l’immobile utilizzato dall’organizzazione di estrema destra ormai dal 2003 è entrato nella mini lista dei 23 stabili occupati, sugli 88 totali inizialmente inseriti nell’elenco elaborato dall’ex commissario capitolino Tronca, su cui intervenire a stretto giro, mini lista che, ormai da oltre un anno, è presente al tavolo del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica al quale sono seduti anche Comune e Regione. Gli appelli urgenti per procedere con lo sgombero di CasaPound rischiano così di trasformarsi nell’urgenza di sgomberare e basta. L’operazione sullo stabile di CasaPound, però, pone questioni diverse che non dovrebbero essere affrontate sullo stesso piano. 

A rendere difficile la questione degli sgomberi, sul tavolo istituzionale ormai da tempo, è soprattutto il problema abitativo cittadino. Con l’epidemia di Coronavirus sfratti e sgomberi sono stati bloccati fino al primo settembre. Il piano al tavolo della Prefettura, però, si era già fermato prima. Per un motivo principale: permettere a Comune e Regione di individuare delle alternative alloggiative per le famiglie in emergenza abitativa, che i censimenti avviati negli stabili occupati confermano superare il 90 per cento.

Gli effetti di uno sgombero senza soluzioni si sono viste ormai quasi un anno fa, il 15 luglio 2019, con lo svuotamento manu militari dell’ex scuola di via di Cardinal Capranica a Primavalle dove vivevano oltre 250 persone. Meno di un centinaio ha accettato la ‘soluzione’ del centro di accoglienza messa in campo dal Comune di Roma. Doveva essere temporanea e, invece, a distanza di quasi un anno nessuna alternativa più stabile è stata trovata. Le famiglie continuano a vivere nello spazio di una stanza, senza cucina autonoma o luoghi per il gioco e lo studio dei figli. L’amministrazione di Virginia Raggi continua a pagare circa 19 euro a testa al giorno, oltre 2200 euro al mese per una famiglia di quattro persone. I nuclei che non hanno accettato di finire in un centro di accoglienza sono andare a vivere, in parte, in altre occupazioni mentre altre persone, soprattutto se senza figli, hanno ripiegato cercando alloggi di fortuna in giro per la città. Un bilancio negativo, sia sotto il punto di vista economico sia sociale.

Il modello che istituzioni locali e Prefettura vorrebbero perseguire è quello avvenuto con lo sgombero dell’immobile della Banca d’Italia in via Carlo Felice nel febbraio del 2019 quando le 32 famiglie presenti, una settantina di persone in tutto, vennero fatte traslocare in altri alloggi assegnati in via temporanea (non si tratta di assegnazioni di case popolari), in parte messi a disposizione dalla proprietà dello stabile da svuotare in parte dalla Regione Lazio tramite l’Ater. Anche in quel caso, soprattutto per i single, il Comune di Roma aveva messo a disposizione il centro di accoglienza di viale della Primavera a Centocelle. 

Dopo l’ex scuola a Primavalle, in cima alla lista degli stabili da sgomberare ci sono finiti gli ex uffici di viale del Caravaggio a Tor Marancia dove vivono 120 famiglie, oltre 300 persone in tutto tra le quali una settantina di bambini. Al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza se ne parla da agosto. Già allora era stata manifestata la necessità di prendere tempo per “assicurare soluzioni assistenziali a tutte le fragilità registrate dal censimento”. Soluzioni che, ancora, non ci sono. Il Comune di Roma ha messo in campo un ‘buono casa’ da 516 euro, poi alzato a 700 euro mensili, che però, in diversi mesi, si è dimostrata un’alternativa poco concretaE lo sarà sempre meno dal momento che inquilini e proprietari che negli anni scorsi hanno accettato una simile soluzione oggi, scaduti i contratti, si ritrovano senza proroga: gli inquilini a rischio sfratto, i proprietari con appartamenti abitati e non pagati. 

La Regione Lazio, poco prima dell’emergenza Coronavirus, con il collegato al bilancio ha innalzato del 10 per cento la quota di case popolari che Comuni e Ater possono utilizzare per le famiglie in emergenza abitativa, quindi anche per quelle che vivono nelle occupazioni, incentivando l’acquisto di abitazioni da destinare a questo scopo. Il regolamento per la gestione di questi immobili e un piano per individuare risorse e appartamenti è ora in via di elaborazione in Regione. I movimenti per il diritto all'abitare, il sindacato Asia Usb e la rete giovanile Noi restiamo hanno protestato martedì scorso sotto le finestre della Regione ottenendo l'apertura di una serie di tavoli in merito. Nessuna novità arriva invece dal Comune di Roma. Gli sgomberi e gli sfratti sono bloccati fino al 1 settembre. Il tempo non è molto.

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