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Rifiuti, Raggi: "Emergenza a Roma è stata pilotata". Poi attacca la Regione: "Non ha mai dato spazi ad Ama"

La sindaca M5s racconta la sua verità sui rifiuti, ma omette tutti i fallimenti di questi anni. Dalla raccolta porta a porta ai tre bilanci ancora da approvare in Ama

"Dopo la chiusura di Malagrotta nel 2013 serviva subito un piano rifiuti. Invece siamo andati avanti con quello, inadeguato, della Polverini del 2012. L'emergenza rifiuti è stata pilotata. La Regione Lazio non ha mai dato spazi ad Ama". Così la sindaca Virginia Raggi, durante una diretta streaming su Twitch, torna sul tema rifiuti. Lo fa però senza contraddittorio, e omettendo tutta una serie di responsabilità del Campidoglio proprio sul dossier più scottante e oggetto di critiche dell'intero mandato. 

Incolpa la Regione Lazio, con una schema già visto innumerevoli volte in questi anni, senza prendere in considerazione le pesanti mancanze del Comune nell'organizzazione della raccolta in città e nella gestione della sua azienda partecipata. Parla ancora una volta di complotto, di "emergenza pilotata". Sostiene che la Regione guidata da Nicola Zingaretti non avrebbe aiutato Ama, in difficoltà per la carenza di impianti (dopo l'incendio che nel dicembre 2018 colpì il Tmb Salario) a smaltire i rifiuti negli altri impianti regionali. Eppure ci sono le carte a dimostrare il contrario, le ordinanze che nell'estate 2019, quando Roma soffriva con i marciapiedi invasi dai rifiuti, obbligarono i privati ad aprire le porte a quantitativi di scarti extra per venire incontro alla Capitale. "Lo stress da campagna elettorale gioca brutti scherzi alla sindaca" commenta l'assessore all'Ambiente Massimo Valeriani.

Con quelle stesse ordinanze si obbligava anche la sindaca a indicare un sito di smaltimento alternativo che potesse sopperire alla chiusura della discarica di Colleferro. Sito che poi venne indicato da Raggi a fine 2019 a pochi chilometri da Malagrotta dopo un braccio di ferro con la Pisana durato mesi. "Ci vogliono obbligare a fare una discarica, quando sono anni che aspettiamo un piano rifiuti" andava ripetendo senza mai soffermarsi sulle responsabilità del suo Comune. Perché se è vero che ognuno ha le sue colpe e il piano rifiuti regionale è stato approvato lo scorso agosto con ben tre anni di ritardo, non è questo che ha impedito al Campidoglio di organizzare una nuova, efficiente, innovativa - come promesso - raccolta dei rifiuti mettendo in ordine conti e organizzazione interna dell'azienda partecipata che la doveva gestire. 

Tutte le colpe (mai ammesse) di Raggi 

Quelle stesse ordinanze estive, lo ricordiamo, impegnavano anche Ama ad approvare i bilanci 2017 e 2018. Che invece ancora non ci sono. Manca pure quello del 2019, così come manca un piano industriale. E qui veniamo alle responsabilità che Raggi, sul fronte rifiuti, non ha mai ammesso. Senza i conti a posto l'azienda in questi anni non ha potuto investire come avrebbe dovuto. Da qui il flop della raccolta porta a porta, promessa in tutta Roma con il piano rifiuti dell'ex assessora Pinuccia Montanari approvato nel 2017, e rimasta ferma da anni a poco più di due quartieri. 

Flop che ha interessato anche il servizio per le utenze non domestiche (negozi, scuole, uffici). Un mega appalto mal organizzato che per stessa ammissione dei dirigenti aziendali - che più volte ne hanno riferito nelle apposite commissioni capitoline - non ha mai funzionato. E poi gli impianti di compostaggio promessi a Casal Selce e a Cesano, che ancora non hanno visto la luce. In tutto questo per più di un anno Roma è rimasta senza assessore, dopo le dimissioni di Montanari, messa alla porta con la bocciatura da parte di Roma Capitale del bilancio 2017. Senza contare la stop a inizio mandato al progetto degli Ecodistretti che era stato messo in piedi dall'ex giunta Marino e che forse, sul fronte impiantistico, avrebbero dato una mano. 

Insomma, la narrazione del "è sempre colpa di qualcun altro" ritorna instancabile. Da "abbiamo un piano" a "siamo sotto scacco". Da "ripuliremo Roma" a "la criminalità fiacca Ama". Da "non chiamiamoli rifiuti ma materiali post consumo" a "questa è la guerra dei rifiuti". Nel mezzo anni di continua emergenza e un'unica e sola tesi sostenuta: il complotto contro la Capitale. Che se anche ci fosse stato non cancella un mandato fatto di azioni inconcludenti, assessori cambiati, bilanci inesistenti e colpe scaricate altrove.

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