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Residence, storia di Mario: "Dopo anni in attesa di una casa, rischio di perdere tutto per 400 euro di reddito in più nel 2016"

Il Comune ha avviato la revoca dell'assistenza a Mario Machuca, che vive con la compagna e il figlio

Due genitori anziani e invalidi da accudire raggiungendo ogni giorno da Casal Lumbroso la loro casa popolare a Tor Bella Monaca. E ancora un fratello di 22 anni, invalido e non autosufficiente a causa di problemi psichici. E poi la propria ‘nuova’ famiglia, la compagna e il figlio di 8 anni, con i quali rischia di restare senza un tetto sulla testa. Mario Machuca Quispe, 32 anni, invalido civile, vive in un residence per l’emergenza abitativa dal 2012, anno in cui la vecchia scuola occupata in cui si era trasferito, l’ex istituto Hertz ad Anagnina, è stata sgomberata. Quello stesso anno Mario Machuca ha avanzato richiesta per una casa popolare e la sta ancora aspettando. Solo che con il passare del tempo la speranza di porre fine al calvario di una vita senza casa invece di avvicinarsi si sta affievolendo.

Il 12 giugno scorso il dipartimento Patrimonio e Politiche abitative gli ha comunicato l'avvio del procedimento di revoca dall'assistenza. Per il Campidoglio lui, la compagna e il figlio devono lasciare subito la stanza che gli è stata assegnata a giugno presso il Centro di assistenza alloggiativa temporanea di Casal Lumbroso pena uno "sgombero forzoso" e il "recupero delle spese sostenute" per il servizio "non dovuto" pari a 71,18 euro al giorno. In un mese si tratta di oltre 2mila euro. Il motivo? Per gli uffici capitolini Mario Machuca nel 2016 ha superato il tetto dei 18mila euro di reddito oltre i quali si perde il diritto all’assistenza alloggiativa. “Lavoro 36 ore alla settimana per una cooperativa sociale. Sono stato assunto come categoria protetta, impiegato presso il reparto ‘Sanità animale’ della Asl”, spiega Mario Machuca a Romatoday.

“Il mio stipendio si aggira attorno ai 17mila euro lordi annuali. La mia compagna, qualche anno fa, ha subito un incidente stradale e da allora è disoccupata. Solo nel 2016, grazie al programma Garanzia giovani, ha lavorato per qualche mese. Ha guadagnato circa 1400 euro in un anno”. Non molti soldi ma abbastanza per far sforare alla somma dei due redditi il tetto dei 18mila euro lordi, anche se di poche centinaia di euro. “Il Comune di Roma mi sta cacciando sulla base della somma delle due certificazioni uniche del 2016 ricevute dall’Agenzia delle entrate. Non sta però prendendo in considerazione il modello 730 dove risultano le detrazioni per il minore, mia madre e mio fratello che risultano a mio carico. Ancora meno ha verificato il reddito Isee che dal 2016 a oggi si è sempre aggirato intorno ai 5 mila euro”. E infatti Mario Machuca è risultato idoneo sia al buono casa sia al nuovo servizio Sassat destinato a sostituire i Caat, per accedere al quale non bisogna superare la soglia dei 12mila euro di reddito Isee. “Senza contare che negli anni 2017 e 2018 mia moglie non ha lavorato e anche per quanto riguarda la somma dei Cud siamo tornati ad una somma inferiore ai 18mila euro”.

Mario Machuca si è così rivolto a un avvocato che ha inviato una memoria difensiva al Comune. “Per comprendere meglio la situazione il mio legale ha anche chiesto agli uffici capitolini un accesso agli atti ma il giorno prefissato per l’incontro il funzionario incaricato non era presente e le impiegate che si sono presentate non avevano a disposizione tutta la documentazione”. Le controdeduzioni sono state inviate prima della pausa estiva e Mario Machuca è ora in attesa della risposta del dipartimento Politiche abitative. 

Un’attesa difficile, perché mentre attende di capire se verrà sgomberato o meno dal residence deve anche pensare ai suoi genitori e al fratello ai quali recentemente è stata assegnata una casa popolare. Tutto è precipitato nel giugno scorso quando è stato chiuso il Caat della Romanina. Romatoday ha riportato la notizia perché molti degli inquilini che risiedevano in quella palazzina hanno denunciato di essere stati trasferiti in pochissimo tempo e senza preavviso in alloggi che non erano ancora pronti ad ospitarli. Anche Mario Machuca l’ha saputo il 3 giugno. Per uscire ha avuto una settimana di tempo.

“Al residence della Romanina sono finito dopo diversi traslochi. Nel 2012, subito dopo lo sgombero, io, la mia compagna e il figlio siamo stati portati al camping Fabulous sulla Colombo. Il Comune ci ha assegnato un caravan. Dal luglio del 2016 sono stato però trasferito al residence della Romanina. Un trasferimento richiesto da me perché lì abitavano i miei genitori e mio fratello, che non sono autosufficienti, così da potermi curare di loro con più facilità. Mia madre è invalida all’80 per cento per una disabilità motoria, mio padre è costretto a stare a letto e affetto da demenza senile e mio fratello è invalido al 100 per cento per una disabilità psichica. Io e i miei familiari siamo seguiti da alcune strutture sanitarie, tutte collocate nella zona Tuscolana. I servizi sociali conoscono il nostro caso da tanto tempo. Sanno anche che ogni cambiamento repentino fa molto male al comportamento di mio fratello”.

Con la chiusura del residence della Romanina, però, la frattura è stata netta. “A loro è stata assegnata una casa popolare a Tor Bella Monaca. Mia madre è stata convocata solo un giorno prima dell’assegnazione e ha dovuto accettare senza poter verificare le condizioni dell’alloggio, la precisa collocazione nel quartiere e la vicinanza ai servizi. Quel giorno, per poter effettuare una scelta migliore, ha anche chiesto l’aiuto di un assistente sociale ma le è stato negato. Così, per paura di perdere ogni diritto, ha firmato”. Il giorno dell’assegnazione “ci rendiamo conto che l’appartamento non è idoneo. Mio padre è costretto a stare a letto e il bagno non ha lo spazio per le carrozzine. C’è solo una camera da letto mentre ne servirebbero due. Senza considerare i fili elettrici volanti e la porta che è stata sfondata perché l’appartamento, prima del nostro arrivo, era occupato e non si trovavano le chiavi. Ancora oggi è stata semplicemente riparata. Ho avanzato subito richiesta di cambio alloggio ma non abbiamo ancora ottenuto risposta.

Intanto, “io, la mia compagna e il figlio siamo finiti nel residence di Casal Lumbroso, dalla parte opposta della città.  Così ogni giorno devo percorrere diversi chilometri per poter stare vicino ai miei genitori”. Senza considerare il peso dell’ennesimo spostamento nel giro di pochi anni, dell’ennesimo cambio di scuola e di quartiere. “Vivere nel residence di Casal Lumbroso per noi si sta rivelando un incubo. L’appartamento consiste in una sola stanza per tre persone. Qui dobbiamo cucinare, mangiare, studiare, dormire. La piastra dell’angolo cottura non è funzionante, il bagno è per disabili e non ha il bidet, il water perde acqua ed emana un pessimo odore in tutta la stanza, in molti angoli compare la muffa. Siamo al piano terra e non mancano insetti e topi”.

Nella dimensione dell’assistenza temporanea l’attesa di una casa popolare può rivelarsi difficile. Soprattutto se l’obiettivo, nel mezzo di un calvario abitativo che dura da anni, di colpo inizia a sbiadire. “Secondo l'ultimo aggiornamento ho solo 10 punti in graduatoria. Il che significa che non riuscirò mai a prendere casa. Non compaiono i 18 punti che dovrebbero assegnarti se vivi in un residence, non viene considerata la presenza di un minore, che dovrebbe aggiungere altri punti, il fatto che nessuno dei due componenti della coppia ha superato i 35 anni di età, che il reddito familiare deriva da lavoro dipendente in qualità di categoria protetta, che l'alloggio dove viviamo oggi è oggettivamente insalubre. Dovrei avere 50 punti, non 10”. Anche in questo caso Mario Machuca ha chiesto una rettifica. La terza avanzata a suo carico inviata agli uffici del dipartimento Politiche abitative. E intanto aspetta. Con molta paura. Sa che la revoca dell’assistenza alloggiativa lo farebbe ripartire dal via. Sa che fuori dal residence, proprio come quando anni fa si era rivolto a un’occupazione, non saprebbe dove andare

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