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Martedì, 16 Aprile 2024

Ginevra Nozzoli

Giornalista RomaToday

Rifiuti, i no sui territori sono figli di una politica che non sa spiegare

Trasparenza e informazione per i cittadini: per sconfiggere la sindrome di nimby Gualtieri deve cambiare metodo

La parola rifiuti fa paura. Discariche, impianti di trattamento meccanico o meccanico-biologico, biodigestori, termovalorizzatori, perfino il compostaggio. Non importa quanto sia fondamentale (e lo è) avere i mezzi per gestire l'immondizia in autonomia e farlo il più vicino possibile a dove viene prodotta. Se si tratta di avere vicino casa gli impianti, il cittadino teme per la propria salute, perché smaltire i rifiuti ha sempre dei costi ambientali. Albano, Magliano Romano, San Vittore nel Lazio, Rocca Cencia. Impianti da ampliare, prorogare, trasformare. Il fronte del no si è fatto sentire più volte nelle ultime settimane, dandoci l'occasione per riflettere nuovamente sul tema del nimby. "Not in my back yard", tradotto dall'inglese "non nel mio cortile", è l'espressione usata nel mondo anglosassone per indicare chi pur riconoscendo l'importanza di un'opera infrastrutturale, si oppone perché non la vuole "a casa sua". 

A Roma è un fenomeno particolarmente diffuso quando si parla di rifiuti. Con ogni probabilità i cittadini che scendono in piazza contro questo o quell'impianto, si infuriano (a ragione) anche quando inciampano in montagne di sacchetti di immondizia putrefatta sul marciapiede, ma sembrano dimenticarlo quando c'è di mezzo la realizzazione di un qualsiasi impianto che consenta quei rifiuti di eliminarli. Gli impianti, i miasmi, il percolato, fanno paura. E la paura alimenta buona parte delle proteste. A volte si contestano progetti che effettivamente risultano non allineati con le normative ambientali di riferimento. Più spesso non si vuole l'impianto e basta. In ognuno di questi casi sono le istituzioni che mancano. 

I cittadini hanno paura, hanno domande, vorrebbero sapere a cosa serve il tmb, che impatto avrà sul territorio, se è compatibile con la vicinanza di case, scuole, ospedali, perché è stato autorizzato. Vorrebbero sapere quali sono i vantaggi e gli svantaggi. E possono solo appoggiarsi alle informazioni di associazioni e comitati di esperti, o sedicenti tali, che hanno già deciso che quell'impianto nel tal quartiere centro urbano non deve arrivare. Di rifiuti gli enti pubblici non parlano se non con grandi promesse in campagna elettorale. Si favoleggia di inceneritori simil Copenaghen che diventano piste da sci senza spiegare, con i piedi per terra, che un inceneritore di ultima generazione (anche senza la neve) può utilizzare tecnologie in grado di rispettare il territorio, con tutte le precauzioni che già la normativa fissa. Nessuno spiega che una discarica costruita oggi, magari di piccole dimensioni, non è la discarica di Malagrotta. Nessuno spiega che l'impianto di compostaggio non rilascia alcun tipo di miasmi. 

Mancano spiegazioni, confronti costanti con il territorio, e manca chiarezza. Lo si è visto in più di un caso con l'ex sindaca Virginia Raggi. L'atto in giunta per realizzare una discarica nel cuore della Valle Galeria è piovuta dal cielo nel tardo pomeriggio dell'ultimo giorno dell'anno, con i romani intenti a preparare il cenone (non c'era ancora il Covid). Ai cittadini nessuna ragione, nessun perché, se non dopo mesi di proteste ininterrotte fin sotto il Campidoglio, con qualche frase a mezza bocca per scaricare il barile sulla Regione.  

I corti circuiti comunicativi sono stati continui negli ultimi cinque anni e non hanno aiutato i romani né a capire né ad accogliere possibili cambiamenti. Vedi l'operazione di revamping del tmb di Rocca Cencia. Ama presentò un progetto la scorsa primavera. La giunta Raggi era contraria. Un disallineamento incomprensibile e ingiustificabile. Altro esempio? L'impianto di compostaggio a Cesano. Il territorio non lo vuole. Proposto durante l'era Raggi, lo hanno bocciato prima gli stessi grillini del municipio (altra contraddizione) e pochi giorni fa anche il nuovo presidente Pd, con il timore che si possa rispolverare il progetto (mai fatto) e portare qui uno dei biodigestori che Ama realizzerà partecipando ai bandi del Pnrr. Tralasciando il fatto che si è votato un atto per dirsi contrari a un progetto che ancora non c'è (il biodigestore), quello vecchio del M5s era stato autorizzato dalla Regione Lazio in Conferenza dei servizi, luogo deputato a valutare esattamente l'impatto ambientale di una struttura del genere. Qualcuno dalla Regione avrebbe potuto spiegare, non in burocratese, perché si è arrivati a dare l'ok. 

Un caso ancora? La riapertura della discarica di Albano. Lo ha fatto Raggi la scorsa estate, per fronteggiare l'ennesima emergenza rifiuti. Zingaretti ha storto il naso, criticando la sindaca per non aver messo in campo alternative. Poi la proroga è arrivata anche con Gualtieri, sindaco dello stesso colore politico, e il governatore non si è mosso di un centimetro. Due pesi e due misure che, anche qui, non favoriscono la comprensione. 

Sindaci, assessori, presidenti di Regione, dovrebbero incontrare romani e cittadini della provincia con appuntamenti fissi in calendario. Certo le questioni in capo a un'amministrazione sono tante, si dirà. I rifiuti però sono un dossier troppo delicato per permettersi di non risolverlo o comunque di non segnare un'inversione di rotta seria nei prossimi cinque anni. Le proteste ci saranno quando si tratterà di realizzare gli impianti davvero. E l'unico modo di affrontarle sarà informare. Non solo di come si smaltiscono i rifiuti ma anche in parallelo di come si intende lavorare per diminuirne la produzione. Potrebbe non bastare, certamente. E ogni singolo caso è a sé. La protesta è sacrosanta ma lo è altrettanto il confronto sistematico, specie su temi complessi che necessitano di semplificazione e chiarezza. Quel che conta è riuscire a farne una questione di metodo. Raggi non ci è riuscita. Gualtieri? Vedremo. 

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