Il partito democratico populista di Giuseppe Conte e Goffredo Bettini
Da laboratorio del campo largo a terreno per il "campo santo", dell'alleanza giallorossa ma anche del PD come l'abbiamo conosciuto sinora. Nel Lazio le possibilità di rivedere riproposta alle urne la maggioranza che ha tenuto in vita Nicola Zingaretti in Regione negli ultimi due anni sono ormai ridotte al lumicino. Di più: questi giorni si stanno trasformando nel funerale del partito democratico.
Perché il Partito democratico è destinato alla morte
Nello scenario più roseo per i dem si andrà al voto con un candidato scelto da Conte e digeribile per l'attuale dirigenza: anche in caso di vittoria il partito democratico ne uscirà dilaniato e distrutto e sarà difficile stare insieme. In quello peggiore, ovvero il PD senza alleati, le prossime regionali rischiano di trasformarsi nel primo test per una nuova creatura politica, la cui natura è ancora tutta da capire, ma che ha un padre noto a tutti: Bettini, eterno deus ex machina della politica capitolina.
Cosa sta succedendo
Non si occupa ufficialmente di cose romane dal 2008, ma in tanti nel partito sono convinti che in questi giorni l'alto dirigente dem stia provando a lavorare al suo progetto nazionale, quello di un partito unico progressista guidato da Giuseppe Conte. Per rompere il campo largo laziale non ci è voluto molto, con un PD debole come non mai e un Terzo Polo alleato involontario. Una discussione spostata sul livello nazionale dove Letta si è messo fuori dai giochi da solo e dove tanto Conte quanto Calenda giocano a svuotare la scatola democratica.
Bettini ha già vinto
Comunque andranno le trattative per la scelta del candidato alla successione di Zingaretti, Bettini un risultato sembra averlo già portato a casa: impedire la candidatura di un ex popolare come Daniele Leodori alla presidenza della regione Lazio. Una vendetta, sono convinti in tanti, per l'operazione Gasbarra fallita ad inizio estate anche per la ferma determinazione del segretario del PD Lazio Bruno Astorre e più in generale di AreaDem. Una presa di posizione, quella del segretario laziale, vista come una dichiarazione di guerra su un terreno, quello romano, considerato di "proprietà" da parte di alcune correnti.
La vendetta contro la dirigenza del PD Lazio
Gli ultimi giorni hanno visto consumarsi la vendetta. Prima le voci sulla possibile candidatura della figura più divisiva nel centrosinistra, Ignazio Marino, su proposta di Conte, poi smentita dallo stesso leader pentastellato. Quindi lo stesso Conte che diventa colui che dà le carte, con il Partito democratico disposto ad abdicare alla candidatura politica, a favore di un civico gradito all'ex presidente del consiglio: il tutto in nome di un'alleanza da fare per forza. Una resa su tutti i fronti per i dem che, per mascherare la batosta, hanno individuato in Alessio D'Amato e nel terzo polo il nemico perfetto, "colui che con la sua candidatura sta rompendo il Campo largo".
Il campo largo non c'è più
Un campo che semplicemente non c'è più. C'è invece il progetto di quello che - provocatoriamente - qui possiamo definire il Partito democratico populista, ovvero il progetto di staccare gli ex comunisti dal PD e di fonderli con il partito dell'avvocato di Volturara Appula, abbandonando al proprio destino gli ex democristiani. Un progetto che l'11 novembre, alla presentazione del libro di Bettini, vedrà l'ufficializzazione degli attori in campo (i diretti interessati ovviamente smentiranno, come da copione), ovvero Giuseppe Conte, Andrea Orlando e lo stesso Bettini. Un momento a suo modo decisivo per la candidatura. Conte dovrà infatti uscire dai retroscena fatti circolare ad arte. Dovrà dire ufficialmente se davvero il termovalorizzatore di Roma è il pomo della discordia che impedisce l'alleanza oppure se il M5S vuol far di tutto per salvare l'alleanza giallorossa. Di più: gli esponenti dem presenti saranno chiamati a rispondere e prendere posizione su quel che vogliono, su un nome o su un progetto che vogliono portare avanti nel Lazio.