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San Giacomo, la Cassazione conferma. L'ospedale non andava chiuso

La Corte suprema ribadisce la sentenza del Consiglio di Stato. Italia Nostra: “Ci sono voluti 5145 giorni per mettere fine alla vicenda”

Si è conclusa la lunga battaglia legale incentrata sulla chiusura dell’ospedale San Giacomo. Il nosocomio romano, che ha terminato di svolgere la propria attività nel 2008, non doveva e non poteva essere dismesso. Perché, come aveva già stabilito il giudice del Consiglio di Stato, la decisione dell’ex commissario alla sanità e presidente della regione Lazio, Piero Marrazzo, era illegittima. 

La battaglia legale

Contro la decisione di chiudere l’ospedale di via del Corso, si era appellata Olivia Salviati, discendente del cardinal Antonio Maria Salviati. Perché, secondo quanto sostenuto dall’erede ed accertato nelle aule di tribunale, la donazione dell’immobile, avvenuta a fine 500, era legata ad un vincolo sulla destinazione d’uso: il San Giacomo doveva, cioè, restare un ospedale. Lo aveva già riconosciuto il Consiglio di Stato nel 2021 ma la regione Lazio si era appellata alla Corte di Cassazione. Il ricorso dell’ente non ha però sortito l’effetto sperato, perché le sezioni unite hanno riconosciuto la correttezza formale della decisione assunta a Palazzo Spada.

La chiusura dell'ospedale

Il Consiglio di Stato aveva contestato la decisione dell’allora commissario alla sanità, perché l’esigenza di risanamento, poteva essere ottemperata tagliando, nel 2007, 30 posti letto. Era questa la razionalizzazione richiesta per quel nosocomio, nel piano di rientro che era stato predisposto per riportare la sanità laziale nei ranghi. Ne sarebbero rimasti 170 per garantire il proseguimento dell’attività ospedaliera. Invece il San Giacomo ha cessato di svolgere la propria attività, ed era stato, tramite Invimit, assegnato alla Asl di competenza. Un cambio di destinazione che aveva suscitato le proteste dei residenti, di associazioni come Italia Nostra e, più tardi, anche dell’assemblea capitolina. 

La protesta del Campidoglio

Nel 2018, appreso dall’allora assessora regionale al bilancio Alessandra Sartore, che l’ospedale era stato trasferito ad un fondo gestito da Invimit, con l’obiettivo di essere valorizzato per 61 milioni di euro, era passata all’azione anche l’amministrazione comunale. Sartore aveva parlato anche di realizzarvi una sorta di “senior house”, ma l’ipotesi non era piaciuta all’aula Giulio Cesare. Per tutta risposta l’Assemblea Capitolina approvò una mozione con cui si chiedeva, all’allora sindaca Raggi, di  sollecitare l’apertura di un tavolo con Zingaretti per la riapertura del nosocomio. 

Le battaglie per la riapertura del nosocomio

Nel frattempo è andata avanti la battaglia legale, ora arrivata all’ultimo grado. “Ci sono voluti 5415 giorni per mettere la parola fine sull’assurda chiusura del polo sanitario del Centro Storico di Roma, grazie alla grande combattente Oliva, erede del Cardinal Salviati” si legge in una nota firmata da Italia Nostra. L’associazione ha ricordato che per arrivare al risultato la strada è stata lunga. E nel percorso, si sono contanti sit-in, a cui aveva preso parte anche il compianto presidente “Carlo Ripa di Meana che, con Italia Nostra, è sempre stato al fianco di Olivia Salviati”. Ma anche due esposti alla procura della Repubblica ed alla procura generale della Corte dei conti, fiaccolate e “furibonde conferenze stampa”, solo per ricordare il contributo offerto alla causa proprio da Italia Nostra.

Fine di una vicenda durata 15 anni

“Ora la suprema Corte di Cassazione mette la parola fine ad un brutto episodio che si è protratto per 15 anni – ha concluso la nota la sezione romana dell’associazione che fu anche di Antonio Cederna – la struttura pubblica è stata sottratta ai cittadini insieme al mai dimenticato ospedale Carlo Forlanini, da una sanità pubblica implosa su sé stessa ed asservita ad altri obiettivi diversi dell’interesse pubblico”.  Chiusa la vertenza legale, resta da aprire un ospedale che, per centinaia di anni, è stato un punto di riferimento per i romani.
 

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