"Occupazione come ultima speranza. Il nostro sogno è una casa vera"
Viaggio di Romatoday in due occupazioni della Capitale
“Una casa popolare? Non ci spero più”. Irina, 23 anni, moldava, guarda suo figlio, un anno compiuto da poco, mentre gioca sul pavimento senza perderla mai di vista. Non lo dice, ma ci fa capire che in questo momento non riesce nemmeno ad immaginarselo in una cameretta tutta sua. “Questa è la mia casa, non ho altro”. Lo afferma abbracciando con lo sguardo quella stanza d'albergo, una delle tante del '4 Stelle' di via Prenestina 944, che dal 6 dicembre 2012 ha trasformato faticosamente in qualcosa il più vicino possibile a una casa. “L'unica che mi posso permettere”. Sorride perché dopo lo sfratto subito ormai più di cinque anni fa è stata a un passo dalla strada e ora, lì dentro, è salva.
Dopo gli sgomberi di agosto, Romatoday ha deciso di entrare in due delle circa 70 occupazioni della Capitale. Ci siamo fatti accompagnare dagli abitanti degli immobili di via di Casal Boccone 112 e di via Prenestina 944 per raccontare come un'ex clinica per anziani e un ex albergo siano stati trasformati in una casa per quanti una casa non se la sono più potuta permettere. Due occupazioni che come tante altre in città sono nate dentro immobili che, a un certo punto, hanno dimesso le loro funzioni originarie per restare abbandonati, quasi sempre nel vortice di quelle stesse logiche 'di mercato' che negli anni hanno favorito l'espulsione dei più poveri dall'accesso alla casa.
Il '4 Stelle' era un albergo di lusso che sorgeva lungo la via Prenestina, al civico 944, non molto distante dal Grande raccordo anulare. Nel dicembre 2011 la chiusura. Non mancarono le proteste dei dipendenti: ci furono 60 licenziamenti. Lo stabile rimase abbandonato per circa un anno fino a quando, il 6 dicembre del 2012, oltre 200 famiglie di una trentina di nazionalità diverse decisero di occuparlo. Quel giorno a Roma circa 3000 mila persone entrarono in 8 diversi stabili, tutti vuoti, alcuni dei quali vennero sgomberati nei giorni immediatamente successivi.
L'immobile di Casal Boccone era invece una clinica per anziani, con una specializzazione per malati di Alzheimer. L'amministrazione Alemanno decise di chiuderla perché il canone da versare era giudicato troppo alto. 79 persone anziane, alcune anche ultranovantenni, vennero sfrattate tra le proteste di ospiti e operatori. Otto giorni dopo 120 famiglie senza casa entrarono nella struttura per chiedere di riaprirla, contestando i tagli al welfare cittadino e rivendicando un uso sociale di quello stabile. “Abbiamo dormito per tre mesi accampati al piano terra” spiega Marina, che ha deciso di occupare dopo che, avendo perso la sua attività, ha capito che “nemmeno con due turni di lavoro sarei riuscita a coprire le spese mensili”. Poi la certezza: la clinica non avrebbe più aperto. “A quel punto abbiamo iniziato a sistemarci ai piani superiori. Molte cose erano state rotte, eravamo stremati. Ci sono voluti mesi prima che sembrasse una casa”.
Nella settantina di occupazioni sparse per tutta la Capitale, vivono circa 6 mila persone. Molte di loro, da anni, sono tra le oltre 10.500 famiglie che oggi attendono in lista per una casa popolare. E da queste parti una casa popolare equivale a dire “un tetto che ci possiamo permettere”. Un tetto che nel solo 2016, stando ai dati diffusi dal governo sugli sfratti, oltre 7092 famiglie non si sono più potute permettere a cui vanno ad aggiungersi le 7274 dell'anno precedente. E così a ritroso negli ultimi 10 anni.
Dopo lo sgombero di via Quintavalle qualcosa sembra essere cambiato. Le persone sgomberate sono rimaste a dormire oltre un mese nelle tende, lo sono tutt'ora, protette solo dal porticato della chiesa dei Santi Apostoli. “Li hanno lasciati per strada, offrendo una soluzione solo per donne e bambini. Le chiamano fragilità”. Edoardo, 50 anni, peruviano, ride. “Io non ho figli ma ho uno stipendio che non mi basta per pagare l'affitto. Vogliono dirmi che non sono fragile?”.
Gli sgomberi estivi hanno accentuato quella sensazione di precarietà che già caratterizza l'abitare nelle occupazioni. Le forze dell'ordine “potrebbero arrivare da un momento all'altro e la sindaca ha detto chiaramente che non ci sarà alcuna soluzione per gli occupanti”. Marina pone una domanda, sicura che rimarrà senza risposta. “Essere poveri è forse una colpa? Siamo qui perché non sappiamo dove andare”. Così è accaduto anche a Mohamed, originario del Marocco, muratore. Quando sette anni fa perse il lavoro, il figlio aveva circa due anni. “Ero disperato, non potevo più pagare l'affitto. Grazie a un passaparola abbiamo sentito che c'era la possibilità di occupare”. Così, prima che lo sfratto li lasciasse in mezzo a una strada, si sono uniti alle famiglie che oggi vivono nell'ex clinica di Casal Boccone. Cosa avremmo dovuto fare?”.