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Il Coni a Malagò: trionfa il modello romanocentrico ma perde la periferia

L'ANALISI - Ecco cosa cambia a Roma con l'ascesa al potere dello sport italiano di quello che Giovanni Agnelli ha ribattezzato 'Don Giovanni' Malagò

Lo sport non s'ha da decentrare. Per amministrarlo bisogna cambiare rotta ma non troppo. Ad esempio, basta calcio nella giunta a favore di quelli che in Italia sono considerati "sport minori". Quindi apertura massima ai privati che con lo sport puntano a fare business. Il senso della candidatura di Giovanni Malagò alla presidenza del Coni, una candidatura molto romanocentrica, aveva un obiettivo. Sovvertire.

Sovvertire il mondo sportivo e puntare su alcuni elementi di discontinuità rispetto alle precedenti amministrazioni, che misuravano la qualità dello sport italiano esclusivamente nel numero di trofei e medaglie vinti. Le parole d'ordine di "Don Giovanni" Malagò, così lo chiamava l'avvocato Agnelli, non erano sport, benenesse, partecipazione ma branding, marketing, fundraising, project financing. In poche parole: fare dello sport un business e fare in modo che lo sport cresca grazie ai privati.

E così alle "palestre popolari e comunali" meglio le palestre private dove però si possano usare fondi pubblici per favorirne lo sviluppo. Si dice "fare sistema". Ma a Roma questo "fare sistema" quando è stato gestito da Malagò non è che sia poi andato così bene.

Ricordate i Mondiali di Nuoto 2009, quelli organizzati in deroga a ogni legge grazie alle ordinanze di Protezione civile, quelli sui quali sta indagando la magistratura e che hanno dato vita a diverse strutture private sorte in ogni dove, dal famoso Salaria Sport Village in poi? Ebbene, quei Mondiali di Nuoto furono organizzati proprio da Giovanni Malagò. Che colse l'occasione per farsi riconoscere i permessi all'edificazione del centro sportivo Acquaniene.

Proprio così: il presidente del Comitato organizzatore ha costruito, con i finanziamenti e i permessi di Roma 2009, un secondo centro sportivo, l'Acquaniene. Un luogo che, come il famosissimo Circolo Canottieri Aniene, più che a "fare sport" serve a "fare sistema". Da quel giorno le cose sono andate sempre meglio per "Don Giovanni" che pure con Veltroni aveva conquistato la poltrona di presidente del comitato organizzatore dei Mondiali di Nuoto del 2009.

La festa per Alemanno sindaco nel suo centro sportivo, però, è stata lo specchio di come il potere di Roma si sia spostato per un cambio di colore al governo della città. E Malagò, da perfetto "uomo di sistema" non si è certo tirato indietro e, anzi, ha stretto un rapporto sempre più forte con la giunta di centrodestra.

Cinque anni dopo, Malagò ha attraversato il Tevere. E' passato dal lato dei Parioli a quello di Montemario. Lo ha fatto conquistando la poltrona del Coni. Si accomoderà sotto lo stadio Olimpico e da lì proverà a cambiare il governo dello sport. Un modello assolutamente opposto a quello che immaginava Pagnozzi: lo sport doveva tornare nelle scuole e in periferia.

Una partita, questa, cara a diversi big di Roma, che vedevano proprio nelle nuove periferie, da Ponte di Nona alla Romanina fino a Tor Pagnotta, luoghi perfetti in cui far sorgere nuovi centri sportivi. Lo chiamavano "decentramento" delle strutture sportive. Ma qui c'era troppo "pubblico".

Per Malagò la soluzione è un'altra: accentrare la gestione dello sport per poi allargare le possibilità di costruire nuovi centri sportivi. In fondo, era questo il modello di governo dei Mondiali di Nuoto del 2009. Tanti soldi pubblici a un unico ente che poi provvedeva ad assegnare fondi, finanziamenti ma anche permessi e autorizzazioni ai privati. Privati come Giovanni Malagò.

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