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La Lega dopo il flop elettorale non fa mea culpa. E nel partito crescono i malumori

Claudio Durigon resta al timone della Lega di Roma e Lazio ma tra i leghisti c'è chi storce il naso. E ora i timori sono tutti per le Regionali del 2023

Non è bastato quel risicato 6% e quei soli due consiglieri entrati in Campidoglio. Il tracollo della Lega alle elezioni amministrative del 3 ottobre non sembra essere stato sufficiente a scuotere Matteo Salvini spingendolo a un cambio di rotta (e di teste) nel partito locale. Nessuno strappo, nessuna tirata d'orecchi a chi aveva il timone in mano. "Cosa è successo dopo le elezioni? Assolutamente nulla". La risposta, con amare risate, si ripete tra i leghisti romani. Una riunione con Salvini post urne c'è stata, più uno sfogatoio però che una seria analisi del voto. 

"È mancato un confronto, Salvini ha ascoltato e ringraziato tutti per le energie spese, qualcuno ha lamentato la mancanza di sedi territoriali, qualcun altro un'eccessiva presenza di figure nazionali in campagna elettorale, ma è finita lì" commenta critico un esponente di lungo corso, lamentando l'assenza di decisioni collegiali, di visione futura, di progettualità che vada oltre le singole scadenze. Un'altra assemblea è in programma per fine mese, le correnti poi si peseranno alle elezioni interne dell'Area metropolitana, e le Regionali del 2023 sono la prossima sfida elettorale su cui puntare, con non poco timore se le percentuali sono quelle delle comunali romane. 

Per il resto, nonostante l'infrangersi del sogno romano, nella Lega resta tutto o quasi, incredibilmente, com'era. Claudio Durigon non si è scomposto. Rimane al vertice della Lega del Lazio e romana. Sconfitta la sua diretta competitor, la deputata Barbara Saltamartini, esponente dell'ala governista del partito vicina al vicesegretario federale della Lega Giancarlo Giorgetti, arrivata solo settima nella lista delle preferenze, non ci sono altri concorrenti. Fedelissimo di Salvini, Durigon viene dallo stesso leader continuamente legittimato.

"Sembra un paradosso ma né uscito rafforzato" è il commento a denti stretti di chi parla apertamente di anomalia rispetto a quel che accadrebbe in qualunque altro partito. Resta al suo posto, come coordinatore romano, anche Alfredo Becchetti, molto vicino a Durigon. Nel direttivo potrebbero trovare una nuova casa gli ex consiglieri Maurizio Politi e Davide Bordoni, rimasti fuori a sorpresa con più di 3mila preferenze, tra i big non eletti da ricollocare in qualche modo. 

Insomma, al contrario di quanto ci si aspetterebbe, chi era al potere ci resta. Poco male se ha portato a casa un risultato pessimo e sotto ogni aspettativa dopo anni di lavoro sul territorio. "Abbiamo pagato lo stare al Governo", "è stato scelto male il candidato" sono i due alibi di ferro che rimbalzano di bocca in bocca. Certo, il nome del candidato non ha aiutato e ha alimentato malumori pesanti contro il partito di Giorgia Meloni. Fortemente voluto da Fratelli d'Italia, Enrico Michetti, poco più di uno sconosciuto, calato dall'alto con tempistiche decisamente poco strategiche, ha fatto flop andando a determinare in buona parte il risultato drammatico della lista Lega. Ma è solo responsabilità di Michetti? "Stiamo strutturando un gruppo di professionisti, politici, imprenditori e società civile che nei nostri dipartimenti si sta mettendo a disposizione per il bene della città" dichiarava un orgoglioso Claudio Durigon a novembre del 2019, quando la Lega dal palco del Teatro Italia lanciava il suo programma per Roma. Non è bastato ed è mancato qualunque mea culpa. 

Prossimo appuntamento domenica 19 dicembre per le elezioni dei consiglieri della Città metropolitana. Sono chiamati al voto, lo ricordiamo, tutti gli eletti dei Consigli comunali della Provincia di Roma. Nonostante gli strappi vari tra Lega e Fratelli d'Italia, specie nei municipi romani, il centrodestra andrà unito con un unico listone di sette, otto candidati. "Puntiamo a eleggere due persone" spiegano i ben informati. Mentre a fine novembre è prevista un'assemblea aperta a tutti gli esponenti, eletti e non, di Roma e Lazio.

Obiettivo a lungo termine, ma nemmeno troppo, le elezioni regionali del 2023. I possibili candidati si fanno due conti. Con percentuali simil comunali la debacle è assicurata e si sbloccherebbero solo due posti. Il rischio è che i candidati mister preferenze regionali, da sempre forti e il cui ingresso alla Pisana è dato per scontato, restino fuori come accaduto in Campidoglio. E poco importa se il partito può andar meglio nelle altre province. Nella Capitale si conta il 70% dell'elettorato del Lazio. "Senza Roma - c'è chi ammette - non si va da nessuna parte". 

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