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Tra sfratti, residence e buono casa: l'odissea di Fabrizio, invalido al 100%, escluso dalla graduatoria per una casa popolare

Il motivo: per gravi problemi di salute nel 2007 Fabrizio si è trasferito per un paio di anni insieme alla moglie e al figlio nella casa popolare della suocera

Nel 2007, nel corso delle analisi di routine dovute al trapianto di un rene avvenuto dieci anni prima, ho scoperto di avere il diabete. Sono diventato quasi cieco per una settantina di giorni. In quei mesi era nato il mio primo figlio. Mia moglie doveva accudire sia me sia il bambino così mi ha chiesto di trasferirci da mia suocera che abitava in una casa popolare a Pietralata fino a quando le cose non sarebbero migliorate. Ho dovuto per forza trasferire lì la residenza perché avevo bisogno delle consegne di insulina per curarmi. Ricordo che mia scuocera aveva chiamato l’Ater per chiedere se era consentito e le avevano risposto che non c’erano problemi perché quella casa era in vendita. Mia suocera la stava per comprare, cosa che poi è avvenuta. Inoltre, mia moglie aveva ancora la residenza lì. Oggi, a distanza di oltre dieci anni, a causa di questa scelta, il dipartimento Politiche abitative del Comune di Roma ha bollato la mia domanda di casa popolare come ‘non ammissibile’”.

Fabrizio è seduto al tavolo della cucina dell’appartamento in cui vive con la moglie e i tre figli di 14, 12 e 5 anni, al primo piano di una villetta a Ostia Antica, al limitare della pineta di Castel Fusano. La paga grazie al buono casa del Comune di Roma, un contributo di 750 euro mensili che l’amministrazione negli anni scorsi ha assegnato alle famiglie che vivevano nei residence per l’emergenza abitativa con l’obiettivo di chiuderli in quanto strutture molto costose, anche oltre duemila euro al mese per nucleo, e spesso composte da appartamenti piccoli e ricavati da ex uffici. “Mi era stato detto di accettare perché nel frattempo sarebbe arrivata la casa popolare. Ma se questa casa popolare non arriva io cosa faccio? A settembre del 2021 scadrà il contratto e sappiamo già che non verrà rinnovato. Non sapremo dove andare. Una casa in affitto non ce la possiamo permettere e un acquisto è impossibile visto che per una banca reddito di cittadinanza e pensione di invalidità non sono nemmeno reddito”.

Fabrizio ha davanti a sé una cartelletta azzurra piena di documenti: comunicazioni del Comune, attestati ufficiali, cartelle cliniche, foglietti con segnati nomi e numeri, date e orari di appuntamenti che non sono serviti a chiarire la sua posizione. Quando sa che il suo racconto può essere certificato da un documento lo cerca nella cartelletta e lo appoggia sul tavolo. Il legno della superficie viene coperto quasi subito di carta. Fabrizio ha 49 anni, è invalido al 100 per cento con inabilità lavorativa. In un documento uno dei dottori che lo ha in cura ha riassunto in un lungo elenco tutte le sue patologie anche se ciò che più ha condizionato la sua vita è stato il trapianto di un rene nel ’97. “Sono stato per anni in dialisi, poi stavo meglio e l’ho potuta interrompere. Nel corso degli esami di routine, però, nel 2007 mi sono accorto di avere il diabete così ho dovuto riprendere anche la dialisi, per tre pomeriggi a settimana”. Lui e la sua famiglia vivono con la sua pensione di invalidità da 286 euro al mese e con il reddito di cittadinanza da 650 euro. L’Indicatore della situazione economica dell’attestazione Isee del 2020 è di poco superiore ai 5mila euro.

Sia io sia mia moglie abbiamo perso il lavoro nel 2011. Io lavoravo per la catena di negozi di elettrodomestici Eldo, vendevo le lavatrici. Lavoravo la mattina, all’una staccavo e andavo a fare la dialisi fino alle sei del pomeriggio. La volontà di fare le cose l’avevo. Poi la catena è fallita e io sono rimasto senza lavoro. Dovendo fare la dialisi tre pomeriggi a settimana è diventato impossibile trovarne un altro e poi ora non sto più molto bene. Quell’anno anche mia moglie è stata licenziata. Lavorava in un supermercato. Da quel giorno non ha più trovato un impiego stabile”.

Pochi mesi dopo, nel luglio del 2012, per Fabrizio e la sua famiglia, che nel frattempo era diventata di quattro persone, è arrivato lo sfratto da un appartamento con “una sola camera e un soggiorno con angolo cottura” tra il quartiere Tiburtino III e la Collatina. In questo caso è la cronaca dell’ufficiale giudiziario a finire sul tavolo. “Questo era l’appartamento dove ci siamo trasferiti dopo aver lasciato casa di mia suocera dove siamo rimasti per poco più di due anni. Non avevamo intenzione di rimanere con lei”.

Da ormai dieci anni Fabrizio, sua moglie e i suoi figli hanno vissuto in una stato di precarietà abitativa costante che li ha portati a traslocare molte volte. Per ricordare le date Fabrizio estrae il certificato dell’anagrafe. “Sono uscito da casa dei miei genitori nel 2002 e sono andato a vivere con mia moglie a Casal Bruciato. Da mia suocera siamo entrati nel luglio del 2007. Nella casa al Tiburtino III siamo entrati nel febbraio del 2010. Lo sfratto è stato eseguito nel luglio del 2012. Da lì ci siamo trasferiti a Pomezia perché tramite conoscenti avevamo trovato un alloggio a prezzi più bassi ma si è rivelata una situazione non sostenibile. In quel periodo un conoscente mi ha messo in contatto con un gruppo di estrema destra, dicendomi che aiutava le persone senza casa. Abbiamo portato avanti diverse proteste e occupazioni fino a mettere le tende in Campidoglio. Così sono finito in un residence per l’emergenza abitativa.

Prima, per pochi mesi, nei bungalow del Fabulous Village. Ai miei figli avevamo detto che era la nostra casa nel bosco. Poi il Comune di ha proposto un trasferimento in un residence a Torrevecchia ma mi era stato assegnato un appartamento da 18 metri quadrati e ho rifiutato perché non idoneo. Così siamo finiti al residence i Triangoli, in via degli Strauss 86. Poi nel 2015 l’amministrazione ha avviato il progetto di chiusura dei residence e per noi è arrivato lo sfratto. Dovevamo lasciare la struttura ma abbiamo protestato. Ė stato allora che mi hanno offerto il buono casa e io ho accettato perché potevo trovare un appartamento in zona ed evitare di far cambiare scuola ancora una volta ai miei figli. Tra l’altro mi era stato detto che nel frattempo sarebbe arrivata la casa popolare.

Prima di traslocare in questo appartamento, dove viviamo anche oggi, ci hanno trasferito per un paio di mesi all’ex Hotel Parco del Costanza, a Mostacciano. Quest’ultimo trasferimento è stato pesante ma non avevamo scelta. Il rischio era quello di perdere il buono casa”. Fabrizio estrae un altro documento dalla cartelletta blu: “Questo è il foglio che certifica l’invalidità parziale del mio primo figlio per un disturbo dell’attenzione. Mi è stato detto che questi continui spostamenti hanno influito in modo determinante e che altri traslochi non gli faranno bene. Ma senza la prospettiva di una casa popolare non so proprio cosa accadrà”.

Fabrizio ha scoperto per caso che la sua domanda di casa popolare è stata dichiarata ‘non ammissibile’. “Quando sono scaduti i primi tre anni di contratto d’affitto con il buono casa, il proprietario dell’appartamento non voleva rinnovare il contratto per i due anni seguenti. Così mi sono recato presso gli sportelli del dipartimento Politiche abitative a Garbatella per ottenere informazioni. Ė così che l’ho scoperto. La comunicazione era stata inviata al vecchio indirizzo di residenza nel centro per l’assistenza alloggiativa ma non abitavo più lì. Così l’ho saputo solo due anni più tardi”.

Mentre per ottenere il rinnovo degli ultimi due anni di contratto con il buono casa è costretto a trascinare il proprietario di casa davanti a un giudice, che gli dà ragione fissando lo sfratto per finita locazione nel settembre del 2021, Fabrizio inizia la sua battaglia per essere inserito nella graduatoria per una casa popolare. Nel documento del dipartimento Politiche abitative che comunica a Fabrizio la ‘non ammissibilità’ della sua domanda di casa popolare, in realtà, i motivi sono due: non solo perché è stato “utilizzatore”, questo il termine scritto, della casa della suocera nel 2007, ma anche perché lo è stato in un altro alloggio popolare a Rebibbia. “Era la casa popolare assegnata a mio padre e io ho vissuto lì dai 13 ai 30 anni. Era la casa di famiglia. Ti rendi conto?”.

Posiziona sul tavolo una decina di foglietti con un timbro come si fa con le carte da gioco. “Guarda quante volte nel 2019 mi sono recato presso gli sportelli del dipartimento per un accesso agli atti, nel tentativo di far valere le mie ragioni. A mia difesa mi hanno chiesto di giustificare il trasferimento nella casa di mia suocera così ho portato tutta la documentazione relativa al mio stato di salute e alla nascita di mio figlio. Ma non è bastato. Un giorno ho addirittura trovato un dipendente che mi ha detto che mi avrebbe aiutato a sistemare la documentazione. Mi ha dato un cognome, un giorno e un orario per l’appuntamento. Mi sono presentato al giorno e all’ora indicati ma nessuno ha saputo dirmi chi aveva quel cognome così questo colloquio non è mai avvenuto.

Ho fatto domanda di casa popolare per la prima volta nel 2007, ma credo che sia andata persa. Poi l’ho ripresentata nel 2012. In famiglia siamo in 5, ci sono tre minori, io sono invalido e anche uno dei miei bambini lo è. Abbiamo un reddito basso e uno sfratto per finita locazione fissato per settembre del 2021. Se mi mettono in graduatoria dovrei prendere casa molto velocemente. Ė importante essere in graduatoria perché di fronte a uno sfratto puoi chiedere un intervento alle istituzioni e invece, così, mi possono rispondere che nemmeno mi conoscono”. 

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