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INTERVISTA | Alemanno e l’anima sovranista di FdI: "Michetti scelto tardi, per governare Roma serve radicamento territoriale”

L'ex sindaco fa il punto sull'esito delle scorse elezioni comunali a Roma: "Candidato scelto tardi, centrodestra spaccato e campagna mediatica hanno decretato la sconfitta". Poi su FdI: "Non può essere partito di centro, realtà merita risposte più nette"

La scelta di Enrico Michetti come candidato sindaco di Roma “arrivata troppo tardi”, la sonora sconfitta subita al ballottaggio contro Roberto Gualtieri con Fratelli d’Italia che comunque si afferma il primo partito di centrodestra a Roma. Il secondo nella Capitale dopo l’exploit della lista Calenda sindaco, con il Pd a far peggio del 2016. C’è poi la polemica scaturita dopo l’assalto alla Cgil “che ha galvanizzato l’elettorato di centrosinistra e disorientato quello di centrodestra” e una coalizione “non credibile perchè spaccata a livello nazionale” da ricompattare. Gianni Alemanno interviene ai microfoni di RomaToday per dire la sua sulle ultime elezioni comunali di Roma e per fare una panoramica su Fratelli d’Italia. L’ex sindaco invoca “maggiore radicamento sul territorio” e dà un consiglio al nuovo primo cittadino di Roma.

Alemanno, qual è il suo giudizio sull’esito del ballottaggio a Roma?

Innanzitutto c’è un “fattore tempo” e la mancanza di un percorso strategico metropolitano che hanno inciso terribilmente su queste sconfitte del centrodestra. Non si può scegliere un candidato sindaco due mesi prima di andare al voto e senza un progetto politico alle spalle. Io sono l’unico di centrodestra ad aver vinto a Roma, ma dietro di me c’era un lungo percorso cominciato nel 2006 con la candidatura contro Veltroni: fui travolto. Poi ho fatto per due anni l’opposizione in Campidoglio; sono stato eletto presidente di Alleanza Nazionale a Roma, allora principale partito di centrodestra in Città e alla fine sono riuscito a vincere nel 2008. Senza tutto questo non si può vincere, soprattutto a Roma dove la sinistra ha un radicamento sociale che, nonostante tutto, continua a persistere. Fratelli d’Italia giustamente è il primo partito di centrodestra a Roma e forse in Italia: cresce perché è l’unico che ha avuto il coraggio di fare opposizione al governo Draghi. Ma è evidente che bisogna aprire un grande confronto per costruire un centrodestra unito e coerente, non solo nel momento elettorale. 

Il fattore tempo è però solo una delle concause che hanno determinato la sconfitta del centrodestra…

Ci sono tre fattori principali che hanno determinato la sconfitta a Roma. Primo, come già detto, il fattore tempo. Ho conosciuto Michetti e secondo me era un ottimo candidato, che però ha dovuto orientarsi in pochissimo tempo in quella che è la più difficile campagna elettorale del nostro Paese. Anche se fosse stato candidato Bertolaso in così poco tempo non sarebbe riuscito a vincere: Roma ha una storia politica ampia e complicata, bisogna avere il tempo di conoscerla, coinvolgere le periferie e i ceti emergenti. 
Il secondo tema è quello di un centrodestra non credibile perché spaccato: una parte siede incredibilmente in maggioranza. Tra l’altro Salvini a giorni alterni parla delle derive autoritarie di un governo di cui fa parte, cosa francamente sconcertante. Il terzo elemento è tutta la montatura mediatica che è stata costruita intorno all’assalto alla Cgil, assalto che peraltro risulta sempre più sospetto vista l’incapacità – o la mancanza di volontà – del Viminale di contrastare quella occupazione ampiamente preannunciata. 

Quindi pensa che l’ondata mediatica seguita all’assalto della Cgil da parte di alcuni esponenti di Forza Nuova abbia pesato sull’esito delle elezioni?

Assolutamente si, ha galvanizzato l’elettorato di centrosinistra e ha disorientato ancora di più quello contrario. Tutto questo grazie alla assoluta egemonia che la sinistra ha sui mezzi di informazione, che utilizza in maniera spregiudicata contro la destra, sia nelle campagne elettorali che durante le esperienze di governo. Io ne so qualcosa…

Ha definito Michetti “un grande avvocato e un romano di cuore”. Non è bastato per vincere. Oltre alla scelta tardiva del candidato sindaco, è d’accordo con Giorgia Meloni sulla necessità di tornare a profili politici? 

Il profilo politico è tendenzialmente migliore del profilo civico, perché scendono in campo persone già sperimentate nel conflitto politico. Ma questa non è una verità assoluta: mi domando, perché il centrodestra non utilizza lo strumento delle primarie, come fa il centrosinistra, per testare i suoi candidati prima che sia troppo tardi? Insomma bisogna costruire un radicamento territoriale delle candidature, che può provenire da un versante politico ma anche da un versante civico.

Un radicamento che, visto l’astensionismo, sembra mancare soprattutto nelle periferie...

Quello delle periferie è un altro tema importante. Noi abbiamo un unico presidente di centrodestra che ha vinto: Nicola Franco, in uno dei più difficili municipi di periferia, quello di Tor Bella Monaca. Ma è una persona che vive il suo territorio tutti i giorni dalla mattina alla sera, attraverso attività politica e iniziative sociali. Insieme a questo ci vuole una suggestione, una proposta forte in chiave sociale: quale era la nostra proposta alternativa al reddito di cittadinanza? Non si può demonizzare questa bandiera con cui i 5 Stelle hanno vinto nelle periferie e nel Mezzogiorno, senza indicare un’alternativa vera e concreta.

Un maggiore radicamento sul territorio che auspicava anche Luciano Ciocchetti che, da riferimento dell’ala moderata di FdI, invocava una svolta più conservatrice e riformista. Un partito un po’ più di centro meno fedele all’anima più “di destra” che deriva dal Movimento Sociale Italiano per arrivare ad partito conservatore riformista...

Ho grande rispetto di Ciocchetti e ritengo che la presenza di esponenti moderati dia credibilità a FdI, ma non devono sognare il ritorno alla DC o ad una AN alla Fini. D’altra parte nella raccolta delle preferenze a Roma, Ciocchetti era alleato con Domenico Gramazio, che viene dal più antico radicamento missino. Siamo di fronte ad un elettorato che dà il 40% a Lega e FdI e il 16% al M5s, che aveva avuto un boom quando si era proposto come movimento antisistema. Le forze di centro, messe tutte assieme, valgono meno del 20%. La realtà italiana è talmente drammatica che chiede risposte nette e forti, persino più forti di quelle manifestate oggi dal centrodestra, a patto che siano serie e credibili. Devono parlare al cuore delle persone. Vogliamo conquistare le periferie con un discorso moderato? La linea politica di FdI è giusta, io condivido tutto quello che ha fatto Giorgia Meloni e mi auguro che vada avanti su questa strada. Una strada che non è “estremista” e tantomeno “nostalgica”, ma con idee identitarie e sovraniste che sono fondamentali per vincere e salvare l’Italia. Poi bisogna, prima e fuori delle campagne elettorali, anche fare un dibattito e un chiarimento culturale sulle radici della destra, perché non bisogna prestare il fianco alle speculazioni della sinistra, né farsi condizionare dai loro pregiudizi.

Da ex sindaco di Roma qual è il consiglio che vorrebbe dare a Roberto Gualtieri?

Il problema di fondo di Roma rimane quello dell’assetto istituzionale. Nessuno può governare Roma se non si fa un grande investimento sul ruolo della Capitale in termini di poteri e di risorse. A Gualtieri, l’unica cosa che posso consigliare da fermo oppositore quale sono, è di coinvolgere tutto lo schieramento politico, da sinistra a destra, in uno sforzo per fare questo salto di livello: il pieno riconoscimento di Roma come Capitale.

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