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Tolino (Roma Futura): "Dagli obiettori al cimitero dei feti, abortire a Roma è un incubo"

Francesca, 37 anni, è una delle donne che ha scoperto una croce con il suo nome dopo aver interrotto una gravidanza. Il 3 e 4 ottobre correrà per un seggio in assemblea capitolina

Subire un calvario e gli sberleffi del personale medico e sanitario di un grande ospedale romano solo per aver scelto di interrompere una gravidanza al sesto mese. Un aborto terapeutico. È quanto accaduto a Francesca Tolino, 37 anni, candidata al consiglio comunale alle elezioni del 3 e 4 ottobre con la lista “femminista, ecologista ed egualitaria” di Roma Futura

Il calvario di Francesca, mamma di altri due bambini, è iniziato a settembre 2019, ancor prima di essere ricoverata: “Ci sono voluti dieci giorni per capire a chi rivolgermi - racconta a RomaToday - , addirittura il mio ginecologo mi aveva consigliato di andare a Londra. Ma di spendere decine di migliaia di euro lontano da casa per abortire mi sembrava un’assurdità”. La morfologica, l’ecografia che fotografa con esattezza la dimensione degli organi interni, aveva mostrato gravi malformazioni al cuore: “Ho incontrato solo specialisti – ricorda Francesca – che invece di farmi un quadro scientifico della situazione, hanno provato a farmi cambiare idea e farmi sentire in colpa, dandomi anche informazioni false. Infatti, solo dopo l'autopsia, è venuto fuori che il feto in ogni caso non avrebbe raggiunto l'ottavo mese di gestazione”. Da quel momento la strada è stata in salita e anche diversi mesi dopo l’intervento, l’incubo è tornato a bussare: il feto partorito da Francesca era stato sepolto, tre mesi dopo l’aborto, nel “Campo degli Angeli” del cimitero Flaminio, con un croce che riportava il nome della madre.

Francesca, cosa è successo una volta entrata in ospedale?

Sono stata tre giorni senza sapere nulla. Né come sarebbe stato fatto l’aborto, né quando. Ogni mattina mi svegliavo e pensavo: ‘Sarà oggi?’. I medici mi hanno dato alcune pasticche colorate, di cui ignoravo e ancora oggi ignoro il contenuto. Ho subito diverse ecografie al solo scopo di farmi vedere il viso della bambina. Finalmente, quando si è trovata una ginecologa non obiettrice, l'unica su non so quanti piani di ospedale, questa aveva da seguire altri parti e non è mai entrata in sala da me e inoltre tutto lo staff sanitario (ostetriche, infermieri e anestesista) erano obiettori, quindi sono rimasta per ore senza anestesia, perché in questa città si permette che un anestesista possa decidere quanto una donna debba soffrire. Non serve avere un medico non obiettore se intorno tutto il sistema obietta. Durante il parto sono stata malissimo, ho urlato per ore e nessuno da fuori interveniva, nemmeno la dottoressa non obiettrice da cui mi sarei aspettata assistenza. La visita di controllo prima delle dimissioni è stata fatta a porte aperte, con uno stuolo di tirocinanti che osservavano e prendevano appunti. 

L’ospedale ha fornito un qualche supporto psicologico?

Per legge si passa per un colloquio psicologico. Quando si parla di aborto terapeutico, quindi tra il 3° e il 6° mese, la legge dice che la donna può praticarlo se è a rischio la sua abilità psichica o fisica, nulla viene detto sul feto. Nel mio caso il feto aveva una grave malformazione al cuore ma io stavo benissimo, quindi la visita psichiatrica all'ospedale serve per definire che problemi hai tu per abortire, quindi il famoso supporto psicologico è una visita di un medico psichiatra, nel mio caso per altro obiettore, che ha provato a farmi cambiare idea. Quindi sulla cartella clinica, che ho ritirato dopo mesi, c'era scritto che ero una "donna sotto effetto di psicofarmaci non atta a fare la madre", sottolineando quindi il rischio per la mia salute psichica e non quello del feto. Una donna pensa di fare un percorso protetto, invece subisce una violenza psicologica. Successivamente ho affrontato quanto successo, oltre che col supporto di mio marito e della famiglia, anche con la psicoterapia: ho fatto l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) che si usa solitamente per chi ha vissuto un trauma grave. 

Quando pensava che tutto fosse finito, ecco l’orrenda scoperta al cimitero Flaminio.

Esce fuori un post Facebook di una ragazza che racconta di aver trovato una croce con il suo nome e cognome al cimitero Flaminio. Sotto c’era il feto che aveva abortito. Mi chiama la presidente dell’associazione Differenza Donna, con la quale già un anno prima mi ero incontrata per raccontare tutto e raccogliere le testimonianze di altre donne, dicendomi che l’indomani avrebbero fatto un sit-in proprio lì e invitandomi a partecipare. Vado e mi perdo, mi reco in un ufficio e chiedo se ci fosse una tomba a mio nome: rispondono di sì e mi danno una mappa per ritrovarla. A quel punto mi hanno ceduto le gambe, stavo malissimo, così ho chiesto ad un ragazzo della manutenzione di accompagnarmi con il furgoncino. Mi ci ha portata davanti e pochi minuti dopo sono arrivati tutti gli altri insieme ai giornalisti, motivo per cui sono finita su tutta la stampa e i tg nazionali.

Può descrivere il campo?

Un'enorme fossa comune dei feti, la croce era nuova di ferro e con l'uniposca bianco era scritto il mio nome invece che il codice della cartella clinica come succede in tanti altri cimiteri. Perché il tema che va sottolineato è che a Roma e al Flaminio hanno deciso di fare così, ma altrove no. Una violazione della privacy enorme: chiunque può chiamare al cimitero e chiedere informazioni su altri, senza controllo. L'impatto è stato tremendo, per me e per tutte quelle che si sono ritrovate davanti a quello schifo, non sapendo nemmeno se sotto alla croce c'è il feto di riferimento o no. Qui non si parla di una sepoltura, ma di una fossa comune all'insaputa delle donne. 

Lei aveva mai autorizzato una sepoltura per il feto?

No. Per tre volte chiesi all’ospedale cosa ne avrebbero fatto e ogni volta non avevo ricevuto risposta. Qualcuno, dall'ospedale si è preso la briga di consegnare il feto a chi lo ha poi congelato, poi è stato tirato fuori, fatto un rito cattolico e infine lo hanno seppellito mettendo il mio nome. Il tutto senza uno straccio di consenso. Ho quindi fatto una richiesta di accesso agli atti, perché magari in quei giorni drammatici in cui non ero per niente lucida mi avevano fatto firmare qualcosa di cui non ricordavo nulla. In realtà è venuto fuori che l'ospedale non ha nemmeno i moduli per questo tipo di cose.  

Adesso si candida all’assemblea capitolina in una coalizione di Centrosinistra: come mai?

Ho deciso di candidarmi per il consiglio comunale di Roma in questa lista innanzitutto perché tutte le sue componenti politiche hanno aderito alla campagna di LIbera di Abortire che porto avanti. Credo che questa città non possa più permettersi il lusso che i diritti produttivi delle donne, la discriminazione, la violenza di genere e gli stereotipi vengano espulsi dal dibattito cittadino per altri 5 anni. Una Roma femminista per me è una città laica, dove non c'è più spazio né per l'incuria istituzionale, né per lo stigma sociale che impediscono di percepire la regolamentazione dell'aborto come fondamentale per la costruzione della cittadinanza femminile ad oggi così umiliata e mutilata, serve informazione prevenzione e cura in tutte le fasi dell'interruzione di gravidanza. L'obiezione di coscienza è spesso di struttura, più che dei singoli e questo di per sé già è illegale. I consultori sono stati depotenziati. Vengono realizzati in maniera non consensuale i cimiteri dei feti. Tutti questi aspetti impongono al Comune di Roma di recepire l'appello rivolto al Ministro della Salute dalla campagna Libera di Abortire, per garantire alle donne romane assistenza in ogni fase di un'interruzione volontaria di gravidanza, coordinarsi con la rete territoriale dei consultori e le associazioni di settore per destinare alle scuole iniziative di educazione sessuale e riproduttiva, monitorare il rispetto di scelta delle donne che hanno abortito con riguardo all'eventuale seppellimento del feto, garantire un'adeguata distribuzione territoriale del servizio di interruzione volontaria di gravidanza e un controllo costante dei tassi di obiezione di coscienza del personale attivo a Roma. 

È mai stata contattata dalla sindaca Raggi dopo quanto scoperto al cimitero?

No, mai. Nemmeno una parola da parte sua a riguardo, con mio grande sgomento. A conferma di quanto detto da Elly Schlein, ovvero che l'attuale amministrazione ha dimostrato che non basta essere un sindaco donna, non abbiamo bisogno di una città femminile ma femminista. In questa mia battaglia ho avuto il supporto dei Radicali all’inizio, poi di Pop (il movimento civico di Marta Bonafoni, ndr), Volt, Green Italia, UAAR (unione atei e agnostici razionalisti), dei giovani democratici e di tante associazioni e reti civiche in tutto il territorio nazionale. 

Qual è stata una delle prime cose che ha realizzato tramite “Libera di abortire”?

Prima di questa campagna avevo già lanciato "In nome di tutte" con L'Espresso, che ha evidenziato a livello romano e non solo che la mia non era una storia sfortunata ma la prassi. In tantissime città d'Italia non è possibile abortire civilmente. Da qui ho lanciato Libera di Abortire. Così abbiamo realizzato un vademecum per tutte le donne su ciò che bisogna sapere quando si decide per l’interruzione e su cosa non è lecito subire all’interno delle strutture sanitarie e lo stampiamo a nostre spese, distribuendolo fuori da scuole e ospedali, sostituendoci alle istituzioni che non lo fanno. Abbiamo inoltre fatto partire una raccolta firme digitale a supporto dell'appello al Ministro Speranza, dal quale tornerò con 50.000 firme, a dimostrazione del fatto che non è più solo la mia storia ma di tutta la cittadinanza romana. Ma la battaglia più grande è quella che sto portando avanti con i Radicali, ovvero l’azione popolare (che verrà illustrata il 9 settembre in una conferenza stampa nella sede del partito), con la prima udienza in tribunale prevista il 13 settembre, in cui Roma Capitale può decidere di sostituirsi come amministrazione a me e alle altre donne che hanno deciso di chiedere i danni all’ospedale, ad Ama e Asl Roma 1, portando quindi avanti il processo, per aver violato la nostra privacy e leso i nostri diritti tramite l’abusiva pratica del cimitero dei feti. In questa sede il Campidoglio avrà la possibilità di decidere se prendere posizione o meno, a tutela delle sue cittadine e cittadini. In ogni caso, insieme a centinaia di altre donne, abbiamo anche intrapreso un’azione penale insieme a Differenza Donna. 

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