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Redazione

Primarie del centrosinistra, le pagelle del confronto

I nostri semafori verdi, arancioni e rossi a pochi giorni dai gazebo

Troppo tardi si è svolto l’unico confronto in presenza dei candidati alla carica di sindaco per le primarie del centrosinistra: sarebbe stato assai interessante poter vedere ulteriori occasioni di dibattito, perché è in momenti come questo che si capisce molto su stili, modi di eloquio, comunicazione verbale e non verbale, ampiezza della proposta politica, solidità delle argomentazioni. Unico, dicevamo: l’appuntamento allo Spin Time Labs del 15 giugno non pare poter essere bissato da nuovi appuntamenti nei giorni immediatamente precedenti ai gazebo. Speriamo, ovviamente, di essere smentiti. Ecco, comunque, le nostre valutazioni, a mo’ di semaforo.

Semaforo verde

Parrà strano associare al nome di Roberto Gualtieri la parola “sorpresa”. Non che il candidato debba dimostrare le sue competenze, che sono universalmente riconosciute. Viene però in mente che più occasioni pubbliche del genere gli avrebbero giovato e che l’ex MEF se la giochi meglio in contesti meno ingessati rispetto alla sua aria professorale. A Spin Time Labs Gualtieri non fa comizi programmatici, prende nota degli interventi precedenti, da essi riparte e risponde con proposte puntuali, assumendosi impegni concreti e mostrando di saper andare al di là della “tonaca” da esponente di partito. Su diritto alla casa esprime parole ambiziose, arrivando a lasciar intendere che il suo Campidoglio sarebbe pronto a valutare gli espropri degli stabili (!) come extrema ratio davanti all’emergenza abitativa. Sul tema dei beni comuni ricorda, correttamente, che solo una lettura riduttiva e farsesca delle normative europee ha portato alla delibera 140 e che altre strade sono possibili. Promosso.

Il cristianesimo della postmodernità è uno stile e Paolo Ciani sembra saperlo. Chiama per nome (unico a farlo) i rappresentanti delle associazioni intervenute, afferma di non aver paura di trovarsi in un’occupazione abitativa, dice che a dargli del centrista è la sinistra che ha fatto gli accordi con la Libia e che quindi il cortocircuito sta da un’altra parte. Sostiene che l’emergenza casa non è un’emergenza, ma un problema strutturale, ricorda che la legge è fatta per l’uomo e non viceversa e dunque se le gabbie legali non parlano dell’umanità vanno cambiate. Propone l’agenzia per l’abitare, soluzione su cui Gualtieri, che parla successivamente, si dice d’accordo. Una prova convincente.

Semaforo arancione

Più che arancione, forse lo piazzeremmo proprio allo scatto dei colori semaforo. Non gliene facciamo una colpa ma ci è parso che Giovanni Caudo fosse un po’ stanco ieri. Intendiamoci, il presidente del III Municipio si conferma, e sono anche i numeri a dirlo, la figura inaspettata delle primarie 2021 e tutto lascia intendere che i gazebo gli daranno un risultato significativo. Esordisce il suo intervento con una domanda, al fine di allargare la questione che gli viene posta, quella degli spazi sociali e dei beni comuni. Dà nuova prova di un tono a cui ci sta iniziando ad abituare, la concezione dello spazio pubblico come luogo quasi sacro. A sostegno di questa linea sarebbe facilmente allegabile ampia bibliografia che risale fino alla filosofia e teologia medievale; si tratta insomma di concetti millenari che Caudo attualizza sempre con personalità. Ma ieri, come dire, è sembrato mancargli un po’ il quid. Si è mantenuto forse eccessivamente sul generale e ha mancato di rivolgersi direttamente alle associazioni presenti.

Stefano Fassina inizia il suo intervento rivendicando il lavoro fatto negli anni e distanziandosi dai suoi contender, come a dire che lui c’era e altri no. Ciò è pure vero, ma forse risulta un po’ aspro. Afferma con fondamento che la carta d’intenti del centrosinistra esprime una piattaforma avanzata in cui, ad esempio, viene citata l’abolizione della delibera 140. Si dimostra programmaticamente affezionato, insomma, alla sua coalizione, cosa che, dati i toni delle ultime settimane, poteva non essere scontato. Per il resto, è Fassina: molto forte sui suoi temi, molto posizionato a sinistra, rappresentativo del mondo del lavoro e della cultura marxista tradizionale. In parte una forza, in parte un auto-recintarsi, ma Fassina fa il suo e lo fa intenzionalmente.

Semaforo rosso

Attendiamo le accuse di maschilismo, ma spiace dire che le due donne delle primarie proprio non vanno. Iniziamo da Cristina Grancio e ci rivolgiamo al partito che la candida, il PSI: si capisce il tentativo di recuperare spazio in città e di proporsi come rinnovato interlocutore nella sinistra romana, e certo da qualche parte bisogna iniziare, ma, e lo diciamo ai gruppi dirigenti del Garofano, l’operazione non sta funzionando. Lo affermiamo ovviamente con rispetto, ma l’ex M5S appare spaesata, catapultata in una competizione in cui non sa (ancora) orientarsi, con non molti e non solidissimi argomenti, fra l’altro quasi sempre ripetuti allo stesso modo. Ad emergere è più che altro il suo giudizio negativo di una storia, quella del M5S a Roma di cui, però, fino a pochi mesi fa era una colonna. Qualcosa non quadra.

Inframmezziamo con Tobia Zevi, che è una persona sicuramente a modo e intelligente e che però ieri, evidentemente, non si trovava a suo agio in uno spazio occupato (è lui a dirlo, lo si legge nei giornali in edicola oggi). Nel suo intervento è buona la passione e la descrizione delle coalizioni del centrodestra e del M5S, molto meno il piano programmatico; risponde poco ai temi posti, parla di altro e rimane sul vago. Chiede di parlare per primo perché è atteso ad un altro appuntamento, il che può succedere; solo che poi rimane fino alla fine, e dunque con un miglior calcolo poteva parlare al posto che l’alfabeto gli assegnava. Forse solo un passo falso, quello di Spin Time, per lui.

Quanto a Imma Battaglia, alla conferenza stampa di lancio della sua candidatura è stato interessante poter incontrare la sua preparazione tecnica, le sue competenze e le sue argomentazioni, che ci sono e che sono valide. All’inizio della campagna il tono… “non istituzionale”, “molto informale”, “popolare” della candidata di Liberare Roma , poteva funzionare, diciamo a mo’ di ariete. A Spin Time Labs il tutto appare però aver raggiunto i contorni dell’esagerazione: l’ex SEL si presenta come padrona di casa, svelando un non detto che era meglio lasciare sopito (Andrea Alzetta, tenutario di Action, sarebbe stato candidato dal gruppo di Ciaccheri se la legge Severino non l’avesse impedito: perché i sette si sono incontrati proprio nella struttura di cui lui è rappresentante?); dice a più riprese “noi di Liberare Roma”, quanto ai temi parla molto del passato, della giunta Marino, e si tiene generica sui punti del futuro, con affermazioni condivisibili ma fumose. Urla molto e, come dicevamo, all’inizio può andare bene; sempre, un po' meno. 

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