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Elezioni Comunali Roma 2021

Paolo Masini: "Con Mamma Roma stiamo costruendo una città-comunità. In tanti mi chiedono di candidarmi"

Intervista all'ex assessore: “La fine di Marino dal notaio la pagheremo ancora per anni”. Poi ammette: "Mi chiedono di fare il sindaco, ma per me non conta il nome, ma la squadra"

“Il dato più tragico di come si è conclusa l’esperienza di Ignazio Marino è aver buttato al secchio le nostre giovani leve”, dice l’ex assessore alla scuola: “Calenda si è mosso legittimamente in autonomia e può fare il sindaco. Io? Conta quale è la squadra che esprime il primo cittadino”. Per molti è ormai fuori dai giri, o forse è capace di trovare sempre nuove occasioni di protagonismo civico. Paolo Masini, si dice, è una delle figure che meglio seppe costruire un rapporto franco e operativo con la macchina amministrativa di Roma Capitale, quando dopo 20 anni da consigliere fu assessore prima ai Lavori Pubblici e poi alla Scuola del sindaco Ignazio Marino, da cui fu defenestrato in un rimpasto di giunta in cui, pare, pagò lui per tutti. Da tre anni non ha più la tessera del Partito Democratico ed è occupato nella costruzione di una rete di buone pratiche romane (e non) con Mamma Roma; il suo nome è spuntato per la corsa a sindaco ma, condividendo un refrain altre volte sentito, sintetizzerebbe: dipende dalle condizioni. Sul notaio, su Virginia Raggi e sulle primarie in arrivo per il centrosinistra, l’abbiamo intervistato. 

Assessore Masini, i tempi sono diversi ma sembra in un certo senso di ritrovarsi prima delle elezioni primarie che incoronarono Ignazio Marino. Lì vi erano diversi candidati in campo ma sembrava regnare comunque una quota di incertezza. 
La differenza è che lì in campo c’erano dei nomi di altissimo livello, uno oggi presiede il Parlamento Europeo, un altro ha fatto il presidente del Consiglio e oggi è commissario agli Affari Economici. A quell’epoca votai per Ignazio Marino, pensai che sarebbe stata la scelta più giusta, oggi forse penso che sarebbe stato Paolo Gentiloni il sindaco migliore, per l’esperienza già accumulata in Campidoglio. In generale cambierei volentieri quel periodo con questo, anche perché si veniva da anni di buongoverno a cui si doveva aggiungere solo la brutta parentesi della sindacatura di Gianni Alemanno. Non avevamo nemmeno strascichi brutti e pesanti come l’episodio del notaio che chiuse la nostra sindacatura.  


Ci arriviamo. Lei è stato per anni consigliere municipale, poi comunale e poi assessore. Conosce la macchina
amministrativa che di lei conserva un ottimo ricordo. Che giudizio dà del rapporto della giunta Raggi con l’amministrazione di Roma Capitale?

Quella che ha descritto è una gavetta che troppo spesso manca a chi fa il parlamentare, l’assessore, il sindaco. Così si finisce per improvvisare. Io credo che la vera forza per cambiare la città, superando tutte le rivoluzioni di cui sento parlare e che rimangono per lo più ipotetiche, sia la macchina enorme del personale capitolino, che credo vada sempre supportato. Va fatto capire ai dipendenti che loro fanno parte del processo di cambiamento. Vanno divise le mele marce da chi fa un grande lavoro, sovente senza soldi e senza strumenti. Bisogna premiare il merito e ricordo che durante la nostra sindacatura l’unico contratto di comparto firmato fu quello che conclusi io per la scuola. Credo che questa giunta non abbia fatto granché, ad oggi, perché non basta dare soldi a pioggia. Va fatto sentire al personale capitolino, soprattutto ai dirigenti, che sono supportati politicamente. Spesso ci sono funzionari che hanno paura di firmare gli atti perché non c'è un supporto centrale che li garantisca nelle piccole e grandi riforme e nel coraggio che alcuni hanno e di cui c'è tanto bisogno. Questa giunta ha lasciato passare invano il centenario di Ernesto Nathan, un uomo che deve essere la nostra scuola, che ha impostato l'amministrazione in maniera sana e coraggiosa. L'amministrazione proprio per incentivare il personale una volta assegnava il Premio Nathan, oggi non solo non si fa più, ma di Nathan ce ne siamo proprio scordati. 

Negli ultimi anni lei ha visto Roma dall’angolazione di Mamma Roma e dell’iniziativa delle Roma Best Practices. Si ha l’impressione che ci siano due città in questa capitale. 
In effetti è così, sembra esserci una doppia marcia. Nelle periferie c'è un fermento meraviglioso che si mette in rete e Mamma Roma nasce per questo, per riconoscere, sostenere e accompagnare la parte migliore di Roma. Oggi siamo una realtà che, sono contento di dire, sta lavorando a buona velocità. Oltre al premio ci sono una serie di iniziative, come “Formarsi Insieme” che grazie ad accordi con le università consente agli studenti degli atenei di fare ripetizioni ai ragazzi delle medie e delle superiori, guadagnando crediti formativi. E’ solo un esempio di come stiamo cercando di costruire una città-comunità. Abbiamo lanciato “Il Civico Giusto”, un’iniziativa sulla resistenza, per sottolineare che bisogna sempre dividere la parte sana da quella da scartare: come ha detto Mario Draghi “non tutti gli italiani nella Seconda Guerra Mondiale furono brava gente”. Per questo abbiamo promosso la “Rete delle scuole della memoria” che sono già 40 in città e che presto saranno rete nazionale. 


A suo modo di vedere l’esperienza in Campidoglio sua, della giunta Marino, è una pagina rimossa o dovutamente elaborata dal centrosinistra cittadino? 
Io trovo particolare che questa storia non sia stata raccontata finora dagli assessori che la vissero. C’è la versione di Marino, spesso stizzosa. C’è quella di Matteo Orfini che non commento, visto che ha regalato Roma a Virginia Raggi. Io penso che quel che è successo allora noi lo pagheremo per anni. Io credo che il PD, anche in questi giorni, anziché mostrare un altro volto si stia aggrovigliando su sé stesso. Anziché impastare pane nuovo si stanno ancora dividendo le briciole. Leggo ancora di correnti, piazzamenti e cordate. Stiamo rovinando le nuove generazioni che militano e ci sostengono. Il dato più drammatico di quanto accaduto nei giorni del notaio è che abbiamo buttato al secchio bravi presidenti, consiglieri municipali, amministratori che stavano formandosi e che ora fanno altro. Un'azienda privata non si sarebbe mai permessa di buttare all'aria quel capitale umano. Oggi manca il coraggio di pensare alto, si continua a fare giochetti senza senso e non si è dove è la città, la città vera; il Pd da l’impressione di non essere più lì, di pensare ad altro. Io penso invece che serva un centrosinistra rigoroso, coraggioso ed eticamente sostenibile.

Su alcuni punti lei sembra essere d’accordo, se non altro nello spirito, con quanto affermato da Carlo Calenda, riguardo il ruolo e il peso delle correnti del PD nella partita attuale. Lei pensa che sia un errore la divisione che si è creata? 
Io avrei affrontato differentemente tutto fin dall'inizio. Le “non decisioni” si pagano. Se uno sta fermo gli altri si muovono. Carlo Calenda ha colto un'occasione legittima e sta facendo un lavoro sulla città importante. Se noi stiamo immobili mi sembra normale che i vuoti vengano colmati da altri, ad esempio lui. Calenda ha le carte in regola, ad esempio, per la gestione della macchina amministrativa e potrebbe essere un buon sindaco. Ciò che dico è che bisognava fare delle scelte, se non si sceglie qualcuno ti passa avanti. 

Ci saranno, pare siano confermate, le primarie del centrosinistra. Si parlava di Nicola Zingaretti che è però sempre più fermo nel ripetere che rimarrà in Regione. C’è Roberto Gualtieri che tornerebbe in campo dopo una lunga e controversa rincorsa. Ci sono gli altri candidati che tentano di proporsi come figure per la città. Un suo giudizio.

Io credo che a Roma ci sia tutto un mondo che poteva essere utilizzato per governare questa città e sul quale non si è puntato. Queste primarie, se si faranno e quando si faranno, saranno a scarto ridotto. Vedo molti manifesti ma poche idee e questo fa male. Il sogno delle primarie nasceva come una voglia di interpretare una forza che venisse dal basso. Onestamente dal basso non vedo venire molto. 

Le chiedo allora se lei è disposto ad esserci per Roma e a quali condizioni. 
Lo leggo sui social e spesso mi viene chiesto. Lo capisco perché io amo Roma, sono innamorato della buona politica e della storia della città. Mi è chiaro però che questo non è un gioco e che i partiti devono alzare il livello, facendo uno sforzo di responsabilità. Chi si mette a disposizione di questa sfida enorme, e ce n'è bisogno, deve portarsi dietro la squadra delle cento persone di cui spesso parla Francesco Rutelli, fatta di gente competente e preparata. Ovviamente fa piacere che mi venga chiesto e io penso che il sindaco di Roma non debba essere scelto nei corridoi di Montecitorio. Il punto però per me non è chi fa il sindaco, è quale è la squadra che lo esprime. Ci sono una serie di persone che hanno fatto bene che però si è scelto di lasciare ai margini di questa discussione. Avrei preferito si procedesse all’inverso. 

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