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INTERVISTA | Primarie del centrosinistra, l’intervista a Giovanni Caudo

A tutto campo con il presidente del III Municipio: Roma Agricola, decentramento amministrativo, spazio pubblico fra i pilastri. "A piazza Sempione la pedonalizzazione si farà"

Giovanni Caudo, 57 anni, è urbanista e professore universitario. Già assessore alla rigenerazione urbana con Ignazio Marino, da luglio 2018 presidente del III Municipio dopo la caduta della giunta Cinque stelle. È candidato alle primarie per il sindaco di Roma del 20 giugno. Su programma, amministrazione e prioritaà politiche, lo abbiamo intervistato per Roma Today.

Nei suoi recenti interventi lei ha parlato della vulnerabilità come concetto chiave che differenzia la destra dalla sinistra. Cosa significa, e come atterra questo nel governo della città?

La vulnerabilità è la condizione contemporanea dei nostri cittadini e della nostra quotidianità. La destra la usa per proporre una svolta securitaria: più muri, più forme di comunità di persone ad alta identitarietà, mentre la sinistra di questa vulnerabilità ne fa un modo per poter conoscere l’altro, per contaminarsi, incontrare il diverso e favorire l’alterità. Così, nelle città, la sinistra ad esempio nel percorso dei migranti e delle diversità costruisce luoghi dove i cittadini si incontrano, crea luoghi dove si interseca la molteplicità. La destra ha invece il culto della separazione, crea città fondate su “quelli che non voglio incontrare. La città dei ghetti e delle enclave è una città di destra, la città dell’incontro è la città europea e della cultura di sinistra.

Ha accennato più volte al tema della Roma Agricola. Si sa che la Capitale è il più grande comune agricolo d’Europa, ma questo ad oggi significa principalmente che ci sono zone colorate di verde chiaro sul piano regolatore. Lei cosa intende?

Intendo che la Roma agricola non è solo la Roma della produzione agricola. La Roma agricola è tutto quel suolo non edificato che diventa crocevia di una capitale più green, più sostenibile, che fa conti con la qualità del cibo. Roma è proprietaria delle più grandi aziende agricole del nostro comune : a Castel di Guido ci sono 2300 ettari a gestione comunale, pensi cosa vorrebbe dire se noi utilizzassimo questi spazi per trattare tutto l’umido che noi produciamo. Segnalo che attualmente lo mandiamo a 500 euro a tonnellata in giro per l’Italia: e se lo usassimo per rigenerare il suolo utilizzandolo come concime, rinforzando l’humus? Pensiamo al turismo che possiamo portare in queste aree, far conoscere la qualità del cibo. Pensiamo ad avere scuole in contesti rurali ma comunque a poche centinaia di metri dalle case. Ma ancora si pensi cosa significherebbe per il lavoro, anche dei nostri giovani, questo incredibile capitale di terre e di ambiente. La giunta Raggi non ha fatto alcuna politica in questa direzione, anzi ha fatto sterilizzare le mucche. Roma potrebbe essere il laboratorio più importante in Europa per il rapporto tra ecosistema urbano e vocazione agricola.

Un altro tema che lei propone è il superamento del barocchismo amministrativo. Onestamente, ne parlano tutti ma non sembra che qualcuno faccia qualcosa.

Per iniziare su questo fronte non c’è bisogno di nessuna riforma costituzionale. Roma deve immediatamente ridefinire i suoi poteri con delibere ordinarie e si può fare tantissimo. Partiremo da subito con un decentramento amministrativo spinto che dia ai municipi risorse e poteri. Lasciamo a Roma Capitale tutto quello che è di Roma Capitale e ai municipi ciò che questi devono fare, evitando sovrapposizioni. Facciamo l’esempio del sociale. Un anziano che ha diritto ai servizi minimi deve poterne fruire allo stesso modo sia che abiti a Ostia sia che abiti a La Giustiniana: questo è il compito di Roma Capitale. I municipi, per contro, devono poter essere liberi di attuare progettualità specifiche secondo le loro esigenze: il municipio giovane deve poter valorizzare le politiche giovanili, il municipio con tanti anziani i centri sociali, il municipio con tanti disabili deve potersi occupare del Dopo di Noi. Roma Capitale non deve poter mettere bocca su questa progettualità differenziata, il dipartimento Urbanistica comunale non deve sovrapporsi alla decisione già presa dal Consiglio Municipale di cambiare, ad esempio, la destinazione d’uso di una scuola trasformandola in un centro civico. Possiamo fare questo tipo di azione già oggi, a diritto vigente.

Per il decentramento servono risorse umane e finanziarie e non sono sicuro che Roma le abbia.

No. Roma ha un grandissimo e gravissimo problema di risorse umane. Per il Recovery Plan il governo sta facendo una riforma giusta che è una grande occasione per la città, quella di portare nell’amministrazione nuove leve, giovani, nativi digitali che possano innovare la macchina amministrativa. Per Roma serve un governo della burocrazia, Roma non ha un city manager che sappia gestire e riordinare i funzionari e non può essere lo stesso segretario generale a farsi carico di questo onere. A Milano ci sono due figure diverse e alcuni city manager sono diventati anche sindaci: Beppe Sala lavorava con la giunta Moratti. Oggi, a seguito della mancata gestione e programmazione, è difficile dare risposte concrete ai cittadini, Roma in questo momento ha circa un dirigente apicale ogni 100 impiegati  e nessuna azienda può essere efficiente con questi numeri.  Abbiamo bisogno poi di riforme concrete sulle competenze sovrapposte. Così potremo realizzare ad esempio la nostra proposta su un’agenzia del patrimonio: il dipartimento del comunale deve tenere l’inventario e la conservatoria. Al suo fianco serve una struttura che metta a disposizione i beni pubblici della città alle associazioni, ai singoli, alle proposte civiche che vogliono usarli nel modo migliore.

Una critica che viene spesso fatta è che le proposte di affidamento dei beni pubblici, soprattutto a sinistra, finiscono per favorire le associazioni “d’area”. E' uno dei temi su cui il Movimento Cinque Stelle ha vinto in città.

Ed è un ragionamento di chi ha paura delle ombre. La concessione degli immobili così risponde a una visione tutta chiusa nella logica immobiliarista ed è un alibi: il tema è cosa ci si fa negli immobili, la loro utilità sociale e quali servizi offrono ai cittadini. Su questa base nel Municipio abbiamo fatto scelte mirate: far gestire direttamente al pubblico degli stabili, la casa dei diritti e delle differenze per le politiche di genere, costruire patti di comunità per la coprogettazione e la cogestione di servizi ai cittadini. Affideremo la porzione di un vecchio casale che abbiamo recuperato e ci metteremo dentro un’attività di sartoria sociale e altri percorsi da scegliere con un bando, mentre una parte sarà invece affidata ai cittadini che abitano nel quartiere con un patto di comunià. Roma è piena di immobili che devono poter essere fruiti da ragazzi, associazioni che hanno creatività, startup. Non ci sono gli amichetti della sinistra, a Roma c’è una realtà talmente molteplice che è un crimine non metterla nelle condizioni di prosperare. Il patrimonio va usato e, in questo senso, sono questi i veri fini politici: se ho un bene pubblico e lo escludo alla fruizione della cittadinanza, faccio un errore. Ecco perché propongo di costituire a Roma Capitale un Dipartimento dei Beni Comuni e anche un’agenzia per l’affitto temporaneo di questi asset.

Si ha l’impressione che la sua campagna acquisti energia. Emerge una rete di personalità nei municipi a suo sostegno. Nomi più blasonati paiono non decollare. Che accade?

Io sto vedendo una grande forza, una grande sorpresa intorno a me. Credo sia anche il frutto di un lavoro che viene da lontano, dalla giunta Marino e da quello che abbiamo fatto nel Municipio. Di quel che lei mi dice do anche una notazione politica. I cittadini e gli elettori non prendono proposte a scatola chiusa, riconoscono e distinguono tra chi si è impegnato da anni sul territorio dalle proposte che sono calate dall’alto. C’è una classe dirigente che è intanto cresciuta e rivendica un ruolo; vedo che certe volte i partiti scelgono invece a prescindere da questo razionale.

Il caso della Madonnina di piazza Sempione ha in sé tante questioni. Il rapporto con la Chiesa, ad esempio; l’idea di night life e di spazio pubblico. Come si sposta questa vicenda al livello del Campidoglio?

Inizio col dire che io ho un’attenzione e una vicinanza, una sensibilità spiccata per quello che fa la Chiesa a Roma. Ho seguito fin dalla nascita l’iniziativa della diocesi chiamata “Ascoltare il grido della Città”. Questo percorso ha attivato in ogni parrocchia assemblee di ascolto del territorio e io ho partecipato di persona, ho stimolato i miei assessori a prendervi parte. La chiesa di Papa Francesco ci sta segnando una strada, ci dice che si parte dalla conoscenza e dalla mappatura – termine che cito alla lettera - di ciò che c’è intorno per cercare di calarsi nella realtà. Questo per me è stato un esempio incredibile: il Papa che si immerge nel contesto urbano. Io mi sono messo in sintonia con questa traccia e ho avuto il privilegio di dare il mio apporto all’assemblea generale delle comunità parrocchiali romane in Laterano. Per capire Roma io guardo l’Evangelii Gaudium, quello è il mio punto di partenza. Nella vicenda di piazza Sempione, dicevo, torna il tema da cui siamo partiti: la paura dell’altro, la paura che lo spazio pubblico sia un posto dove si incontra l’imprevisto che è invece il sale della città. Per questo lo spostamento della statua è una questione strumentale, l’opposizione vera è alla pedonalizzazione della piazza. Invece di pensare che questo sia bello, scatta la paura. Ma lo spazio pubblico vincerà, le persone si accorgeranno di quanto sia importante ritrovarsi invece di avere paura dell’altro. Succederà perché è già successo: nel III Municipio abbiamo già fatto altre pedonalizzazioni. Erano contrari, due mesi dopo chi si azzardava a dire che ci volevano le macchine veniva zittito. Sulle pedonalizzazioni non si fanno i referendum: a Piazza del Popolo ci sarebbero ancora i parcheggi, altrimenti. Come a piazza del Plebiscito a Napoli. Lo so perchè ero lì: avevo appena finito l’università, collaboravo con l’assessore e tutti i dati, le analisi, i sondaggi erano contrari. “La città esploderà”, ci dicevano. Tre mesi dopo, non si trovava nessuno che rivolesse le macchine. A piazza Sempione abbiamo già affidato i lavori alla ditta. La partita è chiusa.

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