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Comunità musulmana, #aromaserve: "Progetti partecipati per realizzare luoghi di culto"

Francesco Tieri, del Coordinamento Associazioni Islamiche del Lazio lancia la sfida ai candidati sindaco: "Più dialogo con la comunità musulmana, e modifiche al Piano regolatore per individuare aree destinate ad accogliere moschee"

Decine e decine di centri islamici della Capitale diventano moschee di fatto. Luoghi di preghiera non dichiarati, spesso irregolari ma di fatto tollerati, altrettanto spesso oggetto di slogan politici che alimentano l'islamfobia dilagante. C'è chi le moschee abusive, una quarantina nella Capitale, vorrebbe chiuderle, punto. Chi chiede controlli più incisivi su eventuali infiltrazioni di cellule terroristiche. Chi propone una regolarizzazione. Ma nessun amministratore a Roma ha mai stabilito un contatto reale con una comunità che nella Capitale conta 100mila appartanenti. 

"Un problema che riguarda direttamente la nostra comunità ormai da decenni è la totale assenza, o quasi, di comunicazione". A parlare, con problemi e proposte rivolte ai candidati sindaco di Roma, è Francesco Tieri, coordinatore del Centro associazioni islamiche del Lazio (Cail), realtà associativa costituita da pochi mesi. "Quasi non ci hanno conosciuto, perché hanno al massimo intrattenuto rapporti istituzionali con la Grande Moschea (l'unica regolare, ndr), gestita dalle ambasciate dei paesi a maggioranza musulmana, e che è avulsa dalla realtà delle comunità islamiche che vivono a Roma, oltre ad essere situata in un’area non abitata". 

Un vuoto di parole che il coordinatore invita a colmare. "Come Cail ci siamo costituiti a novembre scorso, proprio quando la politica scappava dal Campidoglio, ci siamo presentati alle Questure e alle prefetture della regione. Contiamo di avviare con la prossima amministrazione un canale di comunicazione costante, necessario se si vuole governare, tra le altre, la presenza dei musulmani nella capitale". Instaurato il dialogo, le associazioni chiedono di poter realizzare in proprio dei luoghi di culto, perché in mancanza di un accordo con lo Stato a livello nazionale, sono i Comuni gli enti chiamati a colmare eventualmente la lacuna, apportando modifiche al Piano regolatore della città e individuando aree destinate ad accogliere le moschee. Ed è esattamente questa la proposta sul tavolo. 

"Avviare un percorso di urbanistica partecipata, per cercare di superare tutte le difficoltà che impediscono l’esercizio di un diritto sancito dalla Costituzione - conclude Tieri - prima difficoltà tra tutte è il clima di diffidenza nei nostri confronti, alimentato, e di cui si nutre, una certa politica. Sul tema sembrano esserci solo due categorie di pensiero, quelli del "sì alle moschee regolare" ma poi non ce la fanno fare, e quelli del "chiuderemo le moschee informali" e poi non lo fanno. Noi vogliamo andare oltre, prevediamo di coinvolgere l’università, per mettere in campo tutte le possibili competenze al superamento di questo problema, che necessita senz’altro di essere affrontato in modo innovativo". Una cosa è certa: "Siamo centomila, una soluzione dobbiamo trovarla".  
 

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