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Venerdì, 19 Aprile 2024
Politica

Disabili gravi tagliati fuori dall'assistenza: "Abolire delibera che discrimina i nostri figli"

La richiesta in una lettera del Forum ex art 26 diretta al presidente Zingaretti: "I centri diurni decidono in autonomia quali disabili accogliere, escludendo i casi gravi. Chiediamo modifiche urgente della normativa"

Abolire gli articoli di legge che di fatto consentono di isolare un disabile perché lo è più di un altro, favorendo forme di discriminazione che si consumano lontano dalla ribalta mediatica. E' una richiesta disperata quella avanzata dal Forum ex art 26 al presidente Zingaretti. Il coordinamento per la difesa dei servizi di assistenza e riabilitazione ai disabili chiede di rivedere parte della normativa (delibera 583/02) che disciplina le modalità di ricezione dei cittadini disabili nei cosiddetti "centri diurni" ex art.26. Chi può accedere e in base a quali criteri?  

CENTRI DIURNI - Parliamo di strutture che gravano sul bilancio della sanità pubblica, pensate per fornire piani riabilitativi individuali con la partecipazione di tre attori: famiglie, asl, e municipi. Dovrebbero ospitare chi non va più a scuola, ma non è in grado di strutturare in maniera autonoma un proprio percorso di vita. Le convenzioni in atto con la regione Lazio prevedono il sistema dell'accredimento. Gli enti, molti di natura religiosa, possono aggiudicarsi la prestazione presentando un progetto agli uffici preposti, decidendo, con un'autonomia di fatto, i criteri di accesso alle strutture. Ed escludendo troppo spesso chi avrebbe più bisogno. 

LA STORIA DI MARIO - E' così che Mario, 26 anni, affetto da tetraparesi spastica, disabile grave, rimane fuori dalla porta. Aspetta da sette anni un posto in uno dei centri romani. Rientra nella categoria di chi necessita di un "alto carico assistenziale", ovvero di un operatore che lo segua singolarmente nella terapia (rapporto 1:1). E dalle strutture la risposta è sempre la stessa: nel migliore della casi è la famiglia a dover pagare un operatore esterno, che tra l'altro non ha la copertura assicurativa. Un calvario che i familiari non hanno più le forze di sopportare. 

"Sono pronta a ricominciare lo sciopero della fame se le promesse fatte dagli interlocutori istituzionali non dovessero tradursi in un giro di vite concreto". Elena Improta, madre di Mario e consigliera del II municipio, non ha intenzione di mollare, ed è tra le firmatarie della lettera del Forum. Ha già smesso di nutrirsi quattro giorni, interrompendo la protesta di fronte all'apertura mostrata dagli addetti ai lavori. Durante un incontro con i componenti della Cabina di Regia del Servizio Sanitario Regionale e con il caposegreteria del presidente Zingaretti, il cambio di rotta è stato almeno promesso. 

LE PROMESSE - "Abbiamo ascoltato gli interlocutori della regione presenti - scrive il Forum - che ci hanno illustrato che cosa sia stato già fatto di positivo dalla attuale Governo Regionale (ad esempio la obbligatorietà della diagnosi multidimensionale della disabilità per accedere nei centri, di cui è responsabile la ASL di appartenenza eliminando così la criticità delle diagnosi disomogenee) e cosa dovrà essere fatto nel prossimo futuro affinché questi episodi incresciosi non debbano più verificarsi. 

Tra le proposte future ci è stato riferito che sia l’elaborazione del progetto terapeutico individuale, sia il budget, che ora vengono affidati ai centri ex art. 26, potrebbero invece essere affidati alla ASL di appartenenza così da favorire sia la competitività dell’offerta dei diversi Centri, sia la giusta corrispondenza tra l’offerta dei Centri e le necessità terapeutiche della persona disabile come previste dal piano terapeutico". Ma ancora il gruppo di lavoro per mettere nero su bianco le modifiche alla normativa non è stato istituito. E la paura è che restino solo promesse. 
 

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