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Il game over di Marino, il tilt di Orfini. Renzi presenta il conto e rottama Roma

Il premier presenta il conto al commissario Orfini e impone la defenestrazione di Marino. Dai 20.000 euro da restituire alle dimissioni di Marino: cronaca delle 24 ore più lunghe per il pd romano

Dimissioni di Marino nella sostanza, ko del Pd romano, l'ennesimo, nella forma con cui le dimissioni sono arrivate. Un sali e scendi lungo 24 ore quello vissuto in Campidoglio tra la nota in cui il sindaco annunciava che avrebbe restituito i 20.000 euro di spese di rappresentanza e quella in cui ha rassegnato le proprie dimissioni non irrevocabili. Ventiquattro ore in cui la situazione che si protraeva da mesi è precipitata. Ventiquattro ore in cui il Partito democratico ha mollato Ignazio Marino, aprendo per sè, per i suoi dirigenti più in vista e soprattutto per la città di Roma foschi scenari. Ventiquattro ore per rottamare la Città eterna dove politicamente il Rottamatore non ha mai veramente attecchito e dove ora, forte dei fallimenti altrui, punta a imporsi.

Ad accendere la miccia una telefonata nella notte tra Renzi e Orfini. Il Premier ha di fatto presentato il conto al commissario del partito romano. A luglio era stato lui a salvare il chirurgo genovese, ergendosi a garante e sindaco ombra di un Marino ormai inviso al Premier e a tutti i renziani. "Andrà tutto bene", aveva assicurato Orfini a Renzi, "a Marino ci penso io". Tutto bene non è andato, anzi. E Marino, pur imbrigliato e commissariato, è finito travolto da una polemica dopo l'altra. Un fallimento, il secondo dopo la mancata chiusura dei circoli locali, per Matteo Orfini. Dal Nazareno nella notte una telefonata e un aut aut: "Via Marino o ne fai le spese tu". Orfini non ha potuto far altro che obbedire e ha subito fatto partire gli sms ai suoi.

In mattinata il Game Over è partito con la convocazione di una giunta straordinaria. Alle 10 Marino era, per usare la delicatissima espressione di Stefano Esposito, "un condannato a morte". E sempre per dirla con Esposito doveva "decidere lui di che morte morire". Sin dal mattino era apparso chiaro come le strade fossero tre: le dimissioni del sindaco, le dimissioni in massa degli assessori, una mozione di fiducia presentata da Sel e dal PD insieme. Nella riunione di giunta è emersa l'impraticabilità delle prime due strade. Marino infatti a dimettersi non ci pensava proprio. In giunta poi il suo consenso si è palesato più alto di quanto lo stesso Orfini potesse credere. A dimettersi, o meglio a minacciare di farlo, solo i nuovi innesti di luglio, Marco Causi, Stefano Esposito e Luigina Di Liegro. Dubbioso invece Marco Rossi Doria. Orfini, il Generale del Pd, in pratica era riuscito a persuadere solo loro. Il resto della truppa non mollava il sindaco.

Il segnale comunque era stato dato: Orfini ha scaricato Marino. A riunione ancora in corso il pupillo di D'Alema decide di sentire al telefono Paolo Cento, capogruppo di Sel: "Dobbiamo presentare una mozione di sfiducia unica" è l'accordo tra i due che si trasforma poi in ultimatum quando si capisce che dalla giunta non usciranno le dimissioni. Marino resiste e Orfini allora convoca gli assessori. Parole chiare quelle del Commissario: "La maggioranza non c'è più. L'appoggio del Pd in consiglio ve lo scordate. Evitate l'onta della mozione e fatevi da parte". Il messaggio arriva e tutti, o quasi, si persuadono che è finita. A dire no al giovane turco sono Estella Marino e Alessandra Cattoi. A farsi ambasciatori presso il sindaco sono Marco Causi e Alfonso Sabella. I due 'saggi' persuadono Marino: "Dimettiti". 

Il sindaco però, secondo quanto raccolto in Campidoglio, aveva già deciso. Una decisione figlia non di una resa, ma di un calcolo ben preciso. Le dimissioni, legge alla mano, lasciano venti giorni per poter cercare delle soluzioni alternative. La mozione invece di giorni ne avrebbe garantiti al massimo dieci. Così ecco la nota delle 19.30 con il "non escludo il ritorno" tra le righe e "il senza di me il sistema mafioso avrebbe travolto tutto il Pd" più esplicito. Una nota che è anche una dichiarazione di guerra. 

Marino quindi non è ancora politicamente morto e soprattutto si è arreso. Saranno venti giorni di verifiche nelle quali il sindaco punta ad incontrare uno ad uno i consiglieri, mettendoli di fronte a fatti compiuti, a possibili dossier, ad armadi scomodi da aprire. Soprattutto il sindaco punterà sul 'buco nero' che si prospetta davanti al Pd. Dei consiglieri attualmente in carica ben pochi saranno ricandidati e soprattutto ben pochi saranno eletti. "Perché suicidarsi quindi?", sarà il ragionamento che Marino farà ad ogni consigliere. 

Il Pd dal canto suo già schiera le truppe e pensa al dopo Marino. Sarà Gabrielli a nominare il commissario. C'è chi dice che il commissario sarà Gabrielli stesso. L'orizzonte è quello di 4-5 mesi. Sarà il commissario ad aprire per Roma l'Anno Santo e sarà un'onta non da poco. E sarà il commissario a portare la città al voto. La seconda onta da evitare, la seconda, è quella di riconsegnare la città al centrodestra o al Movimento Cinque Stelle. Renzi vuole prendersi Roma ed è pronto ad imporre un suo uomo. Orfini vuole portare a termine quel che Marino non gli ha permesso, ovvero la presa di Roma. La guerra tra bande è pronta a ricominciare. 

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