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Giovedì, 25 Aprile 2024
Politica

La proposta dei comitati sulle regole per garantire l'uso sociale del patrimonio immobiliare di Roma Capitale

I comitati hanno preparato una proposta di delibera per l'"uso sociale" dei locali comunali. Libutti: "Vogliamo dialogare con l'amministrazione"

Superare la delibera 140, per ristabilire le regole con cui garantire “l’uso sociale” del patrimonio immobiliare di Roma Capitale. Con questo obiettivo le realtà che fanno parte del coordinamento CAIO, hanno scritto un provvedimento da sottoporre all’assemblea capitolina. Una proposta di delibera, scritta in maniera partecipata e con la collaborazione dell’avvocato Giuseppe Libutti, che punta a fissare i requisiti, la durata ed i canoni da corrispondere per le assegnazioni. Ma che mira anche a sollecitare l’amministrazione a fare dei controlli, delle verifiche periodiche sulle attività effettivamente svolte nei locali comunali. 

Avvocato, lei ha contribuito alla stesura di questa proposta di delibera, frutto d’un lavoro condiviso con il CAIO, il coordinamento delle tante realtà ceh hanno subito gli effetti della delibera 140. Qual è la prima differenza tra la vostra proposta e quest’ultima?

Uno dei primi propositi della delibera 140 è quello di considerare la redditività del patrimonio pubblico al fine di attrarre maggiori risorse economiche per la città. Per la nostra proposta al centro della città devono esserci i cittadini e le associazioni che attraverso l’utilizzo del patrimonio pubblico perseguono il dettato dell’art. 42 della Costituzione: garantire la funzione sociale della proprietà. E vogliamo che la più ampia diversificazione di soggetti e delle attività abbia la possibilità di vedersi assegnati i beni di proprietà di Roma Capitale.

Perché, ritiene che ne sia rimasto discriminato?

La delibera 140 ha legittimato a proseguire con la propria attività solo chi aveva operato nell’ambito del patrimonio indisponibile. Altra cosa che riteniamo fondamentale, sia garantire il principio di uguaglianza che prevede, a parità di condizioni, di consentire anche a piccole realtà, alla piccola associazione o al comitato di quartiere, di poter gestire uno spazio.

Ritenete invece che questo principio non sia garantito a sufficienza dal regolamento che sta approntando l’assessore Zevi? Perché mentre voi scrivete una proposta di delibera, lui sta lavorando a riscrivere le regole per gestire il patrimonio comunale

In realtà non sappiamo nulla di quanto stia facendo l’assessore. E questo è un peccato, visto che in campagna elettorale c’era stato l’impegno a scrivere un regolamento con le associazioni. Questo approccio ci lascia basiti e pone un problema di forma e di sostanza.

Nella vostra proposta, oltre ad indicare la durata dell’assegnazione, di 6 anni + 6, ci sono anche precisi riferimenti alle verifiche che l’amministrazione dovrebbe eseguire. Sembra quasi un invito a controllare le assegnazioni ma, in questo modo, anche a collaborare con chi amministra la cosa pubblica.

Mi fa piacere che si noti questo aspetto perché noi non ci vogliamo porre in antitesi rispetto all’amministrazione, di cui invece ci sentiamo parte. Vogliamo una delibera che garantisca in egual misura l’amministrazione e la cittadinanza. E vogliamo sicuramente anche superare quell’etichetta che era stata affibbiata a chi per tanti anni ha gestito il patrimonio cittadino, spesso riqualificandolo ed offrendo un welfare che mancava al territorio. 

Qual è questa etichetta?

Mi riferisco all’idea che chi ha utilizzato gli spazi comunali, lo abbia fatto per lucrare, per mettere in piedi un 'divertificio'. Sicuramente qualche abuso c’è stato, ma nella maggior parte dei casi si è offerto un servizio sociale importante ed apprezzato dalla comunità. 

Per effetto della delibera 140 si è arrivati a chiedere canoni di locazione arretrati che hanno fatto vacillare molte di queste realtà. Alcune hanno accumulato debiti importanti. Zevi ha detto che punta a risolvere la questione con una lunga rateizzazione. Nella vostra delibera però avete previsto altro…

Innanzitutto quello che può richiedere l’amministrazione sono gli ultimi 5 anni di canone al 20%. Non di più. Poi ci sono situazioni che vanno valutate caso per caso, andando a verificare il valore sociale delle attività svolte ed andando a scomputare anche il valore economico della ristrutturazione che si è fatta. Fatto questo si può procedere sanando le varie situazioni, spalmando il debito così ricalcolato nei sei anni più sei della concessione.

Nella proposta di delibera, nel fissare i corrispettivi delle assegnazione, avete previsto sia la possibilità di canone totalmente azzerato, quando si faccia l’autorecupero di un immobile abbandonato, ma anche un canone del 20%. Calcolato sul valore di mercato?

No, è calcolato sul valore che l’immobile aveva quando è subentrata l’associazione che lo ha successivamente gestito. Al netto di come me lo hai dato, non del valore di mercato.

E come si fa a calcolarlo?

Ci sono delle perizie fatte al momento delle assegnazioni. Prima di calcolare un canone, poi, bisogna procedere all’accatastamento perché non sempre questo è avvenuto. Ad esempio per il centro sociale Auro e Marco non è censito e risulta pascolo agricolo al catasto fabbricati. Quindi prima il comune dovrà accatastare i propri immobili.

Immobili che vanno messi a bando?

Se si riconosce, come è stato fatto in campagna elettorale e non solo, che le attività di cui parliamo hanno avuto in questi anni un elevato valore sociale che ha fatto fronte ad un sistema di welfare statale pressoché assente, allora siamo in grado di comprendere che questi spazi non possono essere trattati come qualsiasi attività commerciale. Ma c’è di più, il tema del bando rischia veramente di essere un falso problema se si considera l’alto numero di immobili abbandonati che oggi costituiscono un pericolo per la collettività. L’amministrazione a mio avviso dovrebbe preoccuparsi di ridare vita a questi spazi prima di pensare ai bandi.

Libutti, quali sono i prossimi passi che volete compiere?

Il 21 aprile abbiamo intenzione di depositare la proposta di delibera in commissione patrimonio, per poi essere auditi. Vorremmo che fosse presa in considerazione la nostra proposta. Non cerchiamo scorciatoie, ma cerchiamo di dialogare con la pubblica amministrazione. Ed è quello che cerchiamo di fare ormai da tanti anni.

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