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Atac verso il concordato in continuità: "Il vero nodo è garantire i servizi"

Intervista alla docente de La Sapienza Giuliana Scognamiglio

La linea è stata tracciata: per Atac l'amministrazione a Cinque Stelle ha optato per la strada del concordato preventivo in continuità. I prossimi giorni per la municipalizzata che svolge il servizio di trasporto pubblico della Capitale, gravata da un debito di 1,35 miliardi di euro, saranno cruciali. Il Campidoglio, con in prima fila il neo assessore Gianni Lemmetti e la collega alla Mobilità Linda Meleo, insieme ai vertici dell'azienda è già al lavoro per approntare il piano. 

“Per l'ammissione alla procedura di concordato Atac dovrà presentare una corposa e complessa documentazione corredata da una proposta ai creditori” spiega Giuliana Scognamiglio, docente a La Sapienza di diritto commerciale con particolare interesse al diritto fallimentare, alla quale abbiamo chiesto di fare chiarezza sulla procedura. “Il tribunale dovrà verificare le carte per attestare se il piano sia fattibile e possa portare al rilancio della società. Anche i creditori dovranno dare la loro approvazione. Il tutto sotto la responsabilità di un professionista esterno, che dovrà attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa non distrugge valore, a danno dei creditori, ma è - al contrario - funzionale al migliore soddisfacimento dei loro interessi”. 

Il nodo centrale, però, riguarda la necessità di garantire la continuità del servizio. Con il concordato preventivo in continuità “si chiede al tribunale l'autorizzazione a mantenere lo svolgimento del servizio”. E per fare questo “bisogna fornire l'attestazione emessa da un soggetto terzo, solitamente un professionista di formazione economica o economico-giuridica, che assicura che sussistano i flussi finanziari adeguati a sostenere l'attività”. E' questo il “punto nevralgico” per Scognamiglio: “Se il debito è così elevato dove si individuano le risorse necessarie a garantire la continuità?”. Il piano deve contenere questa risposta. Per esempio ad Atac “servono i soldi per il carburante, per gli stipendi, per la manutenzione dei mezzi”.

Ipotizza Scognamiglio: “Si potrebbe sostenere che i biglietti pagati dagli utenti sono sufficienti a finanziare il servizio, oppure che c'è un ente terzo, che può essere una banca, un'altra società, un fondo pensione o qualsiasi altro soggetto interessati a metterci le risorse necessarie”. Il Comune? “E' anche socio ma l'ipotesi potrebbe essere praticabile, compatibilmente con lo stato delle sue finanze”.

In assenza di risorse per “fare cassa” negli anni si è parlato a più riprese di vendere gli ex depositi di proprietà della municipalizzata. “Questa potrebbe essere una delle misure contenute nel piano anche se non bisogna mai dimenticare che in procedure come quella del concordato i tempi sono stretti e le proprietà dovrebbero poter essere vendute facilmente. Non so se sia il caso dei depositi”. 

Perché la procedura vada avanti, il tribunale, con il benestare dei creditori che si ritroverebbero 'congelata' la possibilità di avanzare eventuali azioni esecutive, deve considerare il piano realizzabile. Ma cosa potrebbe contenere questo piano? “Premetto che sto procedendo per ipotesi. Si possono abolire alcune consulenze ma non è da escludere una riduzione del personale, che in Atac è molto numeroso, soprattutto tra gli amministrativi, o una soppressione delle linee meno frequentate. Il senso è: snellire la società”. 

L'allerta dei lavoratori è quindi giustificata? “Certamente, anche se fortunatamente nel nostro paese la tutela del lavoro è molto avanzata e ci sono molte misure che possono essere messe in campo, dagli ammortizzatori sociali ai pensionamenti anticipati e i contratti di solidarietà”. 

Se il piano su cui si fonda il concordato va bene la società viene rilanciata e l'attività prosegue. E se la proposta non regge? “A questo punto i creditori possono promuovere istanza di fallimento. E' una strada possibile, non è automatico che accada. Diciamo che il concordato è un tentativo, se va bene si rilancia la società, se va male è l'anticamera del fallimento”.  

Una parola che fa tremare molti cittadini. “La soluzione concordataria è certamente preferibile ma non bisogna avere paura del fallimento, a volte dalle ceneri di un'impresa ne può nascere una più sana”. L'ipotesi è da mettere in conto, qualora andasse male il concordato. “In quel caso bisognerebbe mettere all'asta il servizio assegnando ad un offerente privato la gestione su basi rinnovate. Con il ricavato si ripianerebbe il debito. La difficoltà è trovare un offerente che si faccia carico di tutta la struttura e non si trova di certo in un mese. Atac potrebbe ritrovarsi come Alitalia, con offerte per i singoli pezzi”.

I tempi sono stretti. “Se la domanda è ben confezionata dipendono dal tribunale. Se lavora in maniera efficiente, come credo accadrà anche in questo caso, il via libera può arrivare anche in un mese, un mese e mezzo. Poi c'è l'approvazione dei creditori. Entro l'inizio del nuovo anno la procedura potrebbe essere avviata. Nel piano poi sarà contenuta la percentuale del pagamento ai creditori, così come i tempi per l'attuazione del rilancio. Dovremmo stare tra i 18 e i 24 mesi”.

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