Tanti annunci e pochi soldi. Così nella “Roma dei 15 minuti” le periferie restano indietro
Accorciare le distanze e rendere più accessibili i servizi: obiettivi troppo ambiziosi per le risorse ed i progetti della "città dei 15 minuti"
“È indispensabile lavorare per fare in modo che tutti i cittadini abbiano le stesse possibilità di accesso alla mobilità pubblica, ai servizi amministrativi, educativi e sanitari”. Sono le parole con cui il sindaco Roberto Gualtieri, nell’aprile del 2022, un anno fa, aveva lanciato il progetto della città dei 15 minuti. La strategia di fondo era quella di “ricucire” il rapporto tra periferia e centro, perché, sempre secondo il sindaco “Roma soffre di una distribuzione fortemente disuguale dei servizi e delle condizioni economiche” e quindi “È indispensabile lavorare per fare in modo che tutti i cittadini abbiano le stesse possibilità di accesso alla mobilità pubblica, ai servizi amministrativi, educativi e sanitari”. Parole sante.
Una città enorme
Per questo, con tale premessa, le aspettative rispetto a questo innovativo approccio sono subito state altissime. Ed è stata accolta di buon grado la notizia, qualche mese più tardi, dell'approvazione delle relativa delibera in giunta. Perché, chi è cresciuto in un quartiere di periferia, scollegato e privo di molti servizi, sa bene quanto sia penalizzante vivere in un contesto del genere. Roma è una città enorme, molto più grande di tante capitali europee. Anni fa c’era un divertente sketch di Svevo Moltrasio, l’autore di Ritails, che metteva in evidenza la differenza di superficie tra Roma e Parigi.
La capitale parigina, se alla città si include la “piccola corona” vale a dire i tre dipartimenti di Senna-Saint-Denis, Val de Marne ed Hauts-de-Seine, arriva a 760 km2. La nostra, di Capitale, si estende per quasi 1300 km2. Con tali distanze, se davvero l’intenzione è quella di rendere i servizi accessibili ad ogni cittadino in 15 minuti o si lavora sulla moltiplicazione dei servizi o si investe sul trasporto pubblico. Tutti e due i casi presuppongono investimenti enormi da parte dell’amministrazione.
Il vulnus delle distanze
Nel caso del trasporto pubblico, esiste un piano urbano della mobilità sostenibile, realizzato dalla precedente amministrazione e rivisitato dall’attuale, che dovrebbe consentire di limare alcune distanze. Lo fa in una prospettiva temporale di 5-10 anni. Ma non contempla neppure tutti i quadranti perché ce ne sono alcuni, mi vengono in mente dei quartieri periferici sulla via Pontina, che non ne beneficiano proprio. In quelle zone, e mi riferisco ad esempio al quadrante compreso tra Spinaceto ed il Torrino, ci sono decine di migliaia di abitanti che attendono soluzioni alternative all’impiego della propria macchina da decenni. Non sarà un caso che i cittadini romani sono quelli che hanno il maggior numero pro capite di auto. Vent’anni di proposte e progetti, lì, non hanno portato a nulla. Ed i 15 minuti restano il tempo di attesa alla fermata dell’autobus, unico mezzo di trasporto pubblico, con il quale affrontare il traffico quotidiano della via Pontina.
La città dei 15 minuti, però, è soprattutto legata ad una visione policentrica che in qualche modo consenta al cittadino di avere tutto a portata di mano: le scuole, gli uffici anagrafici, le biblioteche, le aree ludiche e quelle verdi. Tutto raggiungibile “a piedi o in bicicletta”, perché così è stato promesso, in appena un quarto d’ora. Significa in molti casi investire sul patrimonio immobiliare cittadino, perché mancano gli edifici in cui realizzare questi servizi. E sicuramente manca anche il personale, carente nelle biblioteche per non parlare di quelli in forza all’interno degli sportelli anagrafici. Accorciare le distanze significa quindi investire su questo genere di cose, fornendole ai territori della periferia che ne sono fortemente sprovvisti.
Tanti annunci e pochi soldi
Ora, le intenzioni da cui muove l’amministrazione Gualtieri sembrano nobili. La modalità è però discutibile. Non tanto e non solo per l’enfasi con cui questa strategia viene continuamente rilanciata. Quanto perché, rispetto alle premesse, gli investimenti sono davvero modesti. Appena 22,5 milioni di euro da dividere, in maniera equa, per quindici municipi. Perché anche nei quartieri più centrali ci sono comitati ed amministrazioni che rivendicano un ruolo, che hanno voglia di veder migliorare i servizi in dotazione a quadranti che, chi vive in periferia, neppure è in grado di sognare. Così però le distanze tra centro e periferia non si accorciano. Cosa tanto più vera in ragione degli investimenti, ben più cospicui dei 22,5 milioni della città dei 15 minuti ,che con il Giubileo 2025 verranno riversati soprattutto nelle zone del centro.
I comitati che il 29 marzo hanno preso parte al convegno organizzato al Macro, saranno anche contenti di poter partecipare alla realizzazione di progetti i cui cantieri non apriranno prima del 2024, magari annunciato attraverso qualche altra conferenza stampa. Ma ne resteranno delusi i cittadini incolonnati nel traffico o pressati sull’autobus, che cercano di raggiungere il presidio sanitario, l’ufficio anagrafico e la biblioteca che avevano capito gli sarebbe stato costruito a quindici minuti da casa. Rigorosamente “a piedi o in bicicletta”.
Gli interventi previsti per la città dei 15 minuti
Niente di rivoluzionario
Insomma la città dei quindici minuti è magari solo un tassello di un mosaico che è finalizzato a migliorare la vita dei cittadini romani. Obiettivo, quest’ultimo, che contempla forti investimenti sul piano della mobilità, per realizzare le tante opere previste nel Pums. E che necessita anche delle importanti risorse in arrivo per il prossimo evento Giubilare. In questa cornice, in questo mosaico, la città dei 15 minuti evidentemente acquisisce un ruolo relativo, se non addirittura marginale. E quindi sembra un po’ fuori luogo, un po’ propagandistico, il voler continuamente sottolineare la grandiosità di un programma i cui interventi riguardano, ad esempio, la realizzazione di playground, la sistemazione di piste ciclabili e di fontane, per citare alcuni dei progetti in cantiere (ad esempio a Labaro). Sembrano opere che potevano essere alla portata dei municipi. Sono le benvenute, anche se sarebbe stato decisamente preferibile destinare più risorse ai progetti delle periferie. Ma in ogni caso sono tessere di un mosaico tutto in divenire. Quindi, niente di rivoluzionario.