rotate-mobile
Giovedì, 18 Aprile 2024
Politica

Per i disabili gravi non c'è posto: “I centri diurni della Regione rifiutano i nostri figli”

Le strutture accreditate dalle Asl decidono autonomamente chi accogliere e chi lasciare fuori. Genitori in protesta. Di ieri un incontro alla Pisana: “Ci hanno promesso risposte entro un mese”

In età scolare l'aiuto non manca. Un ragazzo disabile ha un insegnante di sostegno, un progetto educativo individuale, l'assistenza domiciliare e servizi pomeridiani finanziati dai Comuni. E' quando si avvicina l'età d'adulta che, per madri e padri di figli invalidi, rischia di aprirsi il baratro. Liste d'attese eterne, corse da un ufficio all'altro e appelli a istituzioni sorde entrano nel quotidiano e lo rendono un inferno. Un silenzioso stillicidio, ai più sconosciuto.

I CENTRI EX ART. 26 - Escludendo il privato, non a tutti accessibile, il sistema assistenziale pubblico mette a disposizione i cosiddetti centri diurni: strutture a carico della sanità regionale, pensate per fornire piani di riabilitazione individuali, alle quali le famiglie possono affidare i figli durante il giorno. Nel Lazio ne contiamo 90, di questi 72 sono su Roma. Nel 2014 hanno ricevuto un finanziamento di 190 milioni di euro, 2 milioni e cento mila in media per ogni struttura. Ma non sono per tutti. Una fetta di disabili, quelli più gravi, resta alla porta. La ragione?

COME FUNZIONANO - Le strutture, regolamentate ai sensi dell’ex art.26 L.833/78, sono convenzionate con la regione Lazio tramite un sistema di accreditamento. Spesso retaggi di associazioni di volontariato per invalidi civili, o di strutture gestite da enti religiosi, vengono contattate direttamente dalle Asl. Ma, tra i criteri previsti dalla legge per aggiudicarsi la prestazione riabilitativa, non c'è l'assistenza 1 a 1. 

Non esiste nessun vincolo normativo che imponga ai centri di accogliere i disabili gravi, quelli che necessitano di un “alto carico assistenziale”. Le Asl valutano il grado di disabilità, ma sono i gestori a scegliere chi entra e chi no. E la preferenza va ai cosiddetti casi “medio lievi”,  quelli più autonomi che permettono un rapporto inferiore tra assistenti e assistiti. 

TESTIMONIANZE - “Matteo è stato rifiutato da 18 centri”. Marisa, 63 anni, vedova, madre di un ragazzo di 34 affetto da autismo grave, scorre il plico di risposte arrivate dalle strutture interpellate. “Necessita di un impegno assistenziale elevato che al momento non siamo in grado di fornire”, oppure, “sono emerse problematiche comportamentali che rendono il nostro centro non idoneo a garantire sicurezza e gestione dell'utente” e ancora “allo stato attuale non è possibile aprire nuovi progetti riabilitativi”. 

Come Marisa ci sono Maria, Sara, Elena Improta, consigliera del II municipio, per giorni in sciopero della fame fuori dalla Pisana per chiedere risposte alle istanze dei genitori. C'è chi si è potuto permettere di pagare un istituto privato, ma arriva a stento a fine mese, chi ha rimesso la causa in mano a un legale, e chi, più “fortunato” ha potuto contare su una deroga ad personam. 

LE DELIBERE INDIVIDUALI - In qualche caso infatti, le Asl hanno pagato progetti privati a chi ne abbia fatto richiesta in assenza di posti nei centri diurni. Ma la procedura non è regolamentata. E qualcuno, senza capirne la ragione, si è visto rifiutare la richiesta. “Ho fatto presente che nelle Asl Roma A e Roma B c'è chi aveva ricevuto il finanziamento – racconta Marisa - ma mi è stato risposto che ogni azienda sanitaria decide autonomamente”. Anche se questo punto, la falla è tutta da colmare. Una delle tante di un sistema assistenziale insufficiente, che ha spinto i genitori a una battaglia serratissima. 

LA BATTAGLIA DELLE FAMIGLIE - “Siamo riusciti a strappare un secondo appuntamento entro il 12 novembre” commenta Elena Improta, all'uscita di un incontro in Regione con la cabina di regia della Sanità (nel Lazio, lo ricordiamo, commissariata dal 2006) e le associazioni per i diritti dei disabili, tra cui Fish Onlus e il Forum ex articolo 26. Poche e timide le risposte dei dirigenti, e ancora tutte da trovare le soluzioni per salvare le famiglie dal calvario. Qualche promessa, quella sì. 

“Hanno riconosciuto la giustezza delle rimostranze delle famiglie e ci hanno assicurato che dalla cabina di regia arriverà una proposta di modifica al decreto che regola l'accreditamento nell'ottica delle richieste fatte”, una lista di proposte messe nero su bianco dalle famiglie, imprescindibili per apportare migliorie sostanziali a un sistema, di fatto, discriminatorio. 

PROPOSTE E RICHIESTE - Si chiede un censimento dei disabili ad alto carico assistenziale, una riallocazione delle risorse finanziarie in base ai numeri emersi (il 20-30 per cento dei 190 milioni di euro del 2014 da destinare ai casi gravi), un riequilibrio del rapporto operatori-utenti che preveda l'assistenza 1 a 1 tra i requisiti necessari alle strutture per l'accreditamento. E una modalità di scelta che non sia appannaggio esclusivo degli enti gestori. 

Questo a medio termine, ma resta l'urgenza. Per i disabili costretti a casa si chiede “nell'immediato alle Asl di andare in deroga per la presa in carico”. Insomma, che i provvedimenti ad personam siano erga omnes. 
 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Per i disabili gravi non c'è posto: “I centri diurni della Regione rifiutano i nostri figli”

RomaToday è in caricamento