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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Case popolari (e zero fondi speciali) per superare i campi rom: 112 le famiglie che hanno fatto da sole

I numeri contenuti nel report intitolato ‘Superare i campi rom? Si può fare!’ che l’Associazione 21 Luglio presenterà il prossimo 3 giugno presso la sala stampa della Camera dei deputati e che Romatoday ha potuto visionare in anteprima

112 contro 8. Il primo numero si riferisce alle famiglie rom che, tra il 2018 e il 2020, senza intermediazione pubblica o progetti speciali, hanno lasciato baracche e container per trasferirsi in una casa popolare. Presentando la domanda al comune di Roma, come qualunque altro cittadino. Il secondo è il risultato del Piano di indirizzo di Roma Capitale per l’inclusione della popolazione rom, sinti e caminanti dell’amministrazione di Virginia Raggi che, dal maggio del 2017, ha avviato una serie di interventi sperimentali ad hoc per i per i residenti nei campi, come un buono casa riservato, con l’obiettivo di superare gli insediamenti.

Questi numeri sono contenuti nel report intitolato ‘Superare i campi rom? Si può fare!’ che l’Associazione 21 Luglio presenterà il prossimo 3 giugno presso la sala stampa della Camera dei deputati e che Romatoday ha potuto visionare in anteprima. Si legge tra le conclusioni: “Appare impietoso il confronto tra le 112 famiglie (548 persone) che, a costo zero per le casse comunali e senza alcun tipo di intermediazione pubblica, sono uscite dai campi e l’impatto determinato sul fronte abitativo dal costoso Piano rom dell’attuale Amministrazione: 8 famiglie con un precario e mai puntuale contributo all’affitto e una dozzina di milioni di euro spesi per progetti di inclusione”.

Il rapporto è stato costruito ascoltando i residenti nei campi, dietro la tesi che “chi vive il problema conosce anche la soluzione”. I numeri relativi alle famiglie che si sono trasferite in una casa popolare sono quindi il frutto di un “accurato lavoro di indagine” tra quanti hanno lasciato i campi in modo autonomo, che hanno indicato a loro volta conoscenti ed ex vicini di casa, organizzazioni che operano nel privato sociale, singoli individui che hanno sostenuto le famiglie nella presentazione della domanda. I numeri, specifica l’Associazione 21 Luglio nel report, rappresentano quindi una stima al ribasso e si fermano al 31 dicembre 2020. Va specificato, inoltre, che le famiglie rom, nei fatti, hanno possibilità di vedersi riconoscere in graduatoria i 18 punti previsti per quanti vivono in strutture temporanee del Comune di Roma solo dal 2014. 

Ecco perché il piano rom di Raggi è un fallimento

È emerso che nei sette insediamenti considerati, dal 2015 al 2020, almeno 194 famiglie (919 persone) hanno presentato in maniera autonoma la domanda per l’assegnazione di una casa popolare. Di queste, tra il 2018 e il 2020, 112 famiglie (548 persone), sono uscite da un campo rom per passare a un alloggio pubblico, “muovendosi al di fuori del solco tracciato dal Piano rom”.

In particolare a La Barbuta, uno degli insediamenti dove l’amministrazione Raggi, fin dal 2018, ha avviato le operazioni di chiusura, 62 famiglie (pari a 278 persone) hanno avanzato domanda di casa popolare. 47 di queste (220 persone), di nazionalità bosniaca, italiana e macedone, sono risultate assegnatarie. A Castel Romano le domande presentate sono state 55 (226 persone). Le famiglie assegnatarie, soprattutto bosniache, 35.

Più bassi i numeri dell'insediamento Camping River, sgomberato nell'estate del 2018, e Candoni. Nel primo, 6 famiglie hanno chiesto l'assegnazione di un alloggio pubblico e solo una l'ha ottenuta. Nel secondo, 18 famiglie (117 persone) hanno avanzato domanda; 7 di loro, soprattutto bosniache, sono risultate assegnatarie. Infine, nella ricerca sono rientrati anche gli insediamenti di Gordiani, Salone e Salviati. A Gordiani, su 13 famiglie (63 persone) che ne hanno fatto richiesta, 11 (53 persone), tutti cittadini serbi, sono poi divenute assegnatarie. Nell'insediamento di Salone su 28 domande di accesso (160 persone), 8 famiglie (48 persone), in maggioranza bosniache, si sono poi trasferite in una casa popolare. Infine Salviati, dove tutte e 12 le famiglie che hanno fatto domanda hanno avuto la rispettiva assegnazione. 

Per l’Associazione 21 Luglio questi numeri “dimostrano l’infondatezza dell’idea secondo la quale per le famiglie provenienti dai campi sia difficile o addirittura impossibile reperire un alloggio convenzionale principalmente a causa dell’intolleranza presente in città nei loro confronti”. I fatti di Casal Bruciato, in altre parole, restano un fatto isolato e frutto di una campagna di partiti di estrema destra ma non sono rappresentativi di quanto avvenuto negli ultimi anni nei quartieri popolari di Roma. 

Molto diverso il bilancio del Piano di indirizzo di Roma Capitale per l’inclusione della popolazione rom, sinti e caminanti dell’amministrazione di Virginia Raggi che, dal maggio del 2017, ha avviato una serie di interventi sperimentali costruiti apposta per i residenti nei campi come un bonus affitto da spendere sul mercato privato, immobili da destinare ai rom o il rientro volontario assistito nel paese d'origine. Soluzioni “solo idealmente efficaci” che quando sono state calate nella realtà, si legge sul report, “hanno fatto emergere evidenti limiti”.

Lo dimostrano i primi due insediamenti ‘superati’: Camping River e La Barbuta. La maggioranza dei 97 nuclei familiari presenti al Camping River, sgomberato nell’estate del 2018, “è finita per strada in assenza di alternative abitative”. Secondo i dati forniti dallo stesso Comune di Roma, e riportati dall’Associazione 21 Luglio, delle 14 famiglie inizialmente accolte nei circuiti di assistenza di Roma Capitale oggi solo 5 continuano a ricevere il buono casa, “anche se i gravi e reiterati ritardi del pagamento da parte dell’amministrazione comunale rischiano di vanificare l’intervento”. I 14 progetti di rimpatrio volontario assistito, invece, sono tutti stati interrotti.

Per quanto riguarda La Barbuta, i dati del Comune di Roma parlano di 37 famiglie passate dal campo alla casa. “Nessuna di queste uscite ha però trovato coincidenza con una delle azioni previste dal Piano”. Tutte e 37 hanno presentato regolare domanda di assegnazione di casa popolare e sono poi divenute assegnatarie. In altri casi, come il superamento dell’Area F di Castel Romano o il centro per soli rom di Torre Angela, l’amministrazione ha proposto “accoglienza in strutture monoetniche, dal connotato discriminatorio, gestite con grande impegno di denaro pubblico e senza prospettive di reale inclusione futura”. 

In questo contesto, uno degli ostacoli allo svuotamento dei campi, che il report non manca di sottolineare, è rappresentato dalle difficoltà dell’amministrazione capitolina a procedere con le assegnazioni di case popolari nel quadro di una città dove oltre 13.500 famiglie sono in attesa di un alloggio pubblico, che ha visto 50mila richieste di sostegno all’affitto nel 2020 (pari al 30 per cento delle famiglie in affitto a Roma), 10mila persone nelle occupazioni e 7mila negli insediamenti informali, circa 3mila sfratti all’anno. 

Commenta il presidente dell’associazione 21 Luglio, Carlo Stasolla: “A Roma da 25 anni esiste un Piano rom, così come Uffici Speciali, bandi e fondi dedicati ai i rom nei campi. Si tratta di dispositivi inutili, costosi e in molti casi controproducenti. Azioni speciali sono inefficaci perché ormai le generazioni presenti nei campi rom sono e si sentono prima di tutto cittadini romani e, come tali, cercano risposte in soluzioni ordinarie, accessibili a tutti. I rom vogliono entrare nelle case popolari senza corsie preferenziali e i cittadini romani non sono affatto razzisti. Queste i due tabù che, come dimostra il nostro studio si infrangono finalmente con la realtà dei fatti”.

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