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Campi rom: ecco perché al River la "terza via" di Raggi ha fallito

Cos'è e come (non) ha funzionato. Perché il fiasco, oltre la propaganda mediatica del Campidoglio, è nei numeri

La "terza via". In tema di campi rom ne stiamo sentendo parlare da giorni. La locuzione indica la strategia messa in atto, a detta del Campidoglio con successo, nella chiusura del Camping River, l'insediamento rom di Prima Porta sgomberato lo scorso 26 luglio. Coniata dagli addetti alla comunicazione della sindaca Virginia Raggi per indicare la strategia di superamento delle baraccopoli della periferia, ha risposto alla necessità impellente di disegnare a livello locale una via di fuga rispetto alla ruspa di Matteo Salvini, alleato nel governo gialloverde. Significa questo, nella sostanza: il Comune di Roma elimina gli insediamenti rom per ripristinare la legalità sul territorio, in ossequio alle richieste (legittime) dei quartieri ai margini della città, ma non sposa la linea dura di stampo leghista, tutela i diritti dei più fragili e dà loro gli strumenti per integrarsi e reinsersi nel tessuto sociale. Per la sindaca Raggi è quello che è accaduto al River. Ma è davvero così?

La "terza via" nel piano rom

Nominata per la prima volta dall'assessore al Sociale Laura Baldassarre in un'intervista al Messaggero con cui ha rotto un silenzio di mesi sull'argomento, la teoria della "terza via" è contenuta nella delibera di giugno 2017, quella che detta le linee guida del piano rom per la chiusura dei campi da finanziare con fondi europei. Per integrare, si sceglie di agire per lo più su due fronti: quello occupazionale e quello alloggiativo. 

Il primo si attua tramite corsi di formazione e colloqui di lavori resi possibili grazie a un'attenta attività di mediazione degli operatori sociali. Il secondo, la ricerca di una casa, si incentra su un'opzione chiave: un buono affitto fino a 800 euro al mese per due anni con l'alloggio da reperire in autonomia sul mercato privato. Il contributo, che viene elargito solo a contratto già firmato, può essere impiegato anche per pagare soggiorni presso terzi, amici, parenti, conoscenti, o presso strutture ricettive. 

La "terza via" applicata al River

Al River, villaggio inserito all'ultimo nel piano inizialmente redatto per i soli maxi campi di Barbutae Monachina, è l'ufficio Rom, Sinti e Caminanti a essersi occupato di gestire il percorso. Ecco i numeri delle adesioni in un anno di attività. Su 350 persone iniziali, secondo quanto appreso da RomaToday, solo 3 famiglie hanno trovato una casa in affitto sul mercato privato o una sistemazione tramite enti religiosi. Mentre alcune, circa 20, nei mesi hanno lasciato spontaneamente l'insediamento senza aderire alle misure offerte. Per stringere i tempi, il Campidoglio ha aggiunto per il campo di Prima Porta, con una delibera ad hoc, altre opzioni: progetti di "autorecupero" di immobili e il rimpatrio volontario assistito a mille euro a persona per un anno. Per il primo non ci sono state proposte nè percorsi avviati. Il secondo è andato meglio (si fa per dire) con 14 adesioni totali. Quelle celebrate dalla sindaca Raggi con tanto di video spot sui social network, girato direttamente in Romania

La "terza via" fallita: i numeri del flop

Ma alla data fissata per la chiusura del campo, e poi per lo sgombero forzato imposto con ordinanza sindacale del 13 luglio, la stragrande maggioranza delle persone non sapeva dove andare a dormire. E allora il Campidoglio, con il peso di un ricorso pendente alla Corte europea dei diritti umani da parte di tre abitanti del campo, ha tirato fuori dal cilindro una serie di soluzioni emergenziali, che nulla hanno a che vedere con il piano rom iniziale. 

All'arrivo delle pattuglie della polizia locale, sul terreno del River si trovavano 257 persone. Di queste 30 hanno accettato di trasferirsi in via Ramazzini, il campo d'emergenza della Croce Rossa con le casette Ikea (lo ripetiamo, una misura straordinaria, spuntata all'improvviso). Altri 5 si sono accodati ai 14 rientrati in patria. Altri 10, secondo il Campidoglio, hanno iniziato i colloqui per attivare un percorso simile. Ma ad oggi non sappiamo con quali risultati. A conti fatti sono 212 i rom dispersi in città, senza una meta precisa. E i pochi che hanno trovato una sistemazione lo hanno fatto non grazie alla "terza via" fissata nel piano Raggi. Che al River, oltre la propaganda e numeri alla mano, è stata un fiasco. Ma con strumenti normalmente riservati ai senzatetto o ai migranti, in quadri urgenti che richiedono la rapida attuazione di strategie (precarie) di accoglienza. Riassumendo: il camping di Prima Porta è stato chiuso con l'uso della forza pubblica, e le famiglie, più di 200 sono disperse per le strade del quadrante nord. E' questa, de facto, nella sua prima applicazione al River, la "terza via": sgombero forzato con soluzioni dell'ultima ora. Non è un piano di reinserimento sociale.  

Qui tutto sullo sgombero del River

+++AGGIORNAMENTO+++

Di seguito alcune precisazioni, a seguito di una richiesta di rettifica inviata alla redazione dall'ufficio stampa del Campidoglio. Sul dato da noi riportato delle famiglie (famiglie, non persone) che hanno trovato un alloggio sul mercato privato con il buono affitto, il Comune scrive: "Le persone fuoriuscite dal Camping River con i diversi strumenti legati ai progetti messi a disposizione da Roma Capitale (inclusione lavorativa, inclusione abitativa, rientro volontario assistito, etc) sono state, fino al giorno in cui è stata evacuata l’area (26/7/2018) numero 98".

Abbiamo chiesto di questi 98 quanti hanno ottenuto quali misure. Il dato scorporato ci dice che: 29 sono state rimpatriate (dato da noi riportato identico), 13 hanno ottenuto un contratto d'affitto e 17 un alloggio presso congiunti e/o familiari (30 persone, noi abbiamo parlato di 3 famiglie). Poi, sempre secondo i numeri del Comune, in questi 98 ci sono 39 persone inserite in strutture del circuito di accoglienza. Lo ripetiamo: si tratta di misure straordinarie, non previste nè nel piano rom per Barbuta e Monachina poi esteso al River, nè all'ultima delibera sul River con cui le misure sono state ampliate.  

Secondo punto: i rimpatri e il trasferimento nel circuito di assistenza post sgombero. "Dal 26/7/2018, giorno in cui sono state effettuate le operazioni per evacuare l’area a oggi le persone accolte sono state 74". Nel nostro articolo ne indichiamo 30, dato ottenuto sottraendo al numero di 44, fornito il 26 luglio dal Campidoglio, 14 persone che stando alle informazioni in possesso di RomaToday non sono rimaste in via Ramazzini. Il dato di 74 persone invece è stato diffuso alla stampa oggi pomeriggio, successivamente sia alla stesura del pezzo che alla richiesta di rettifica. Poi il Campidoglio precisa: "Gli operatori della SOS hanno continuato e stanno continuando a interloquire con le altre persone per convincerle ad accettare le soluzioni proposte". Non abbiamo scritto il contrario. 

Terzo punto: "La Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha riferito che l’Italia può effettuare operazioni di evacuazione in tutti quei casi in cui sono previste strutture alternative per gli occupanti. Nel caso del Camping River, come più volte chiarito dall’Amministrazione capitolina, erano previste alternative per tutti". Tralasciando il fatto che la Corte si è espressa nel momento in cui il Comune ha offerto (a sgombero già avvenuto) le casette di via Ramazzini ai tre che avevano fatto ricorso, nell'articolo contestato non si entra nel merito, se non nel passaggio in cui si specifica che al momento dell'introduzione delle misure assistenziali d'emergenza vi era un ricorso pendente alla Corte. Semplicemente un fatto di cronaca. 

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