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Le case famiglia sopravvivono solo grazie alle donazioni: il Pd chiede a Gualtieri di aggiornare le rette

Passa in consiglio una mozione di Erica Battaglia. Berliri (Casa al Plurale): "Bella novità, mi aspetto atti immediati dal sindaco"

Tenere aperta una casa famiglia per disabili più o meno gravi, adolescenti problematici o mamme con minori costa all'incirca 48.000 euro al mese, quando gli ospiti sono 8. Le cooperative che le gestiscono ricevono dal comune più o meno la metà tramite le rette. Per questo l'assemblea capitolina ha approvato la scorsa settimana una mozione, a prima firma Erica Battaglia (Pd) nella quale si chiede al sindaco Gualtieri di adeguare le rette corrisposte, ferme da anni, valutare un contributo una tantum per indennizzare gli anni pregressi e aggiornare annualmente il bilancio per sostenere le strutture. 

L'atto, sostenuto anche da Nella Converti (Pd), Tiziana Biolghini (Roma Futura) e Paolo Ciani (Demos) è stato accolto con favore da chi quotidianamente opera nel terzo settore e si occupa di disabilità e disagio sociale. In particolare Luigi Vittorio Berliri, presidente della rete di case famiglia Casa al Plurale e fondatore della cooperativa "Spes contra Spem": "L'assemblea capitolina è il luogo dove si danno gli indirizzi politici e si stabiliscono le priorità - spiega a RomaToday - quindi è positivo che la mozione sia stata approvata. Mi aspetto adesso atti conseguenti e immediati, ho tutti gli elementi per credere che avverrà a breve, anche se in tanti anni di battaglie siamo stati più volte illusi". 

A fare i conti della serve è proprio Berliri: "In una casa famiglia con 6 massimo 8 ospiti - spiega - lavorano almeno due operatori la mattina, due il pomeriggio e due la sera e la notte, sette giorni su sette anche nei festivi. Considerando stipendi, affitti e bollette parliamo di circa 48.000 euro al mese, di questi ne vengono rimborsati la metà. Una struttura di piccole dimensioni alla lunga non resiste e chiude". Chi invece ha più risorse e strutture di grandi dimensioni e diffuse sul territorio va avanti in un solo modo: "Chiedendo aiuto alle banche - risponde Berliri - o raccogliendo fondi tramite donazioni. Ma è come se si facesse il crowdfunding per far viaggiare gli autobus. Perché delle persone con disabilità senza una famiglia, dei minori, delle mamme con figli la responsabilità è della comunità intera, quella cittadina le cui qualità si misurano tramite la capacità di risposta alle esigenze dei suoi componenti". 

Inoltre, Berliri propone di differenziare le rette: "Il servizio non è uguale per tutti, perché non tutti sono uguali - prosegue - infatti per esempio ci sono case famiglia in cui vivono coppie di persone con la sindrome di Down assolutamente autosufficienti, per le quali basterebbe una visita ogni tanto di un operatore per sapere se va tutto bene. Non si tratta di persone ipovedenti con gravissime disabilità fisiche che necessitano di essere alimentate, lavate e vestite. E' chiaro che il costo dei due servizi è molto differente". 

"L'orientamento dato dall'aula Giulio Cesare relativamente all'adeguamento delle rette per le case famiglia va nella direzione auspicata da anni - commenta Battaglia, presidente della commissione Cultura e Lavoro -, ovvero l'inizio di un percorso che porti la città con le sue strutture sociali al pieno riconoscimento del loro ruolo e della loro funzione di accoglienza. Questo ovviamente per garantire qualità del servizio e giusto ristoro ai lavoratori e alle lavoratrici coinvolte. La casa famiglia non è un servizio qualsiasi, ma è casa per chi, con una disabilità o a forte rischio di esclusione sociale, immagina e costruisce in quel luogo la sua autonomia e la sua famiglia". 

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