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Affrancazioni: "Speso oltre un miliardo di euro di soldi pubblici, il Comune verifichi i requisiti di chi la richiede"

Parla Perticaro, l'avvocato che con le sue denunce ha sollevato la truffa degli affitti gonfiati nei piani di zona

“Quasi un miliardo e mezzo di euro di soldi pubblici a fondo perduto. E solo per due bandi pubblicati nel 1998 e nel 2004 che hanno finanziato un centinaio di quartieri di edilizia agevolata”. L’avvocato Vincenzo Perticaro, che insieme al sindacato Asia Usb ha presentato nel 2012 la prima denuncia sui cosiddetti ‘affitti gonfiati’ nei piani di zona, lievitata negli anni fino a diventare una vera e propria valanga per numeri di inquilini coinvolti e inchieste aperte dalla magistratura, è costretto a scorrere la schermata del monitor per qualche secondo per arrivare in fondo alla tabella Excel con i circa mille finanziamenti erogati a operatori e costruttori. “Si tratta di dati ufficiali, forniti dagli uffici della Regione Lazio in risposta alla consigliera del Movimento Cinque Stelle, Valentina Corrado” che aveva depositato un'interrogazione in merito.

Un numero molto alto di finanziamenti pubblici statali distribuiti dalla Regione che, insieme a terreni espropriati messi a disposizione dal Comune, erano destinati a dare vita a un intervento in grado di indirizzare lo sviluppo della città all’interno di un disegno pubblico, a dare una risposta al disagio abitativo. Famiglie con redditi bassi, anche se non così tanto da aggiudicarsi una ‘casa popolare’, giovani coppie, anziani, inquilini con alle spalle degli sfratti. Centinaia di migliaia di abitazioni, oltre cento quartieri in tutta Roma. Case che per legge non potevano essere rivendute prima dei cinque anni e vincolate da una convenzione stipulata tra il Comune e i costruttori a non superare prezzi stabiliti per legge.

Invece, per anni, queste abitazioni sono state vendute e rivendute a prezzi di mercato. Il Comune dava i nulla osta, anche negli ultimi anni quando il fenomeno dei piani di zona era già esploso, i notai firmavano i rogiti. Un’interpretazione “ondivaga” della legge, la spiegazione data in seguito a una sentenza della Corte di Cassazione che ha stabilito che il prezzo calmierato dell’immobile non si esaurisce con il primo proprietario. Risultato: centinaia di migliaia di abitazioni acquistate a prezzi di mercato ma realizzate in regime di edilizia agevolata sono 'tornate a valere' quanto stabilito da convenzione dando vita a una vera e propria ondata di cause e ricorsi.

“Da più parti (dal Comune all’ordine dei notai, ndr) si chiede un intervento legislativo in merito” commenta Perticaro. “Ma la legge era chiara fin dal principio: queste case sono state realizzate sulla base di convenzioni che stabiliscono il prezzo massimo con le quali possono essere vendute. Perché Comune e Regione non hanno controllato il rispetto di tali convenzioni? Perché i notai in moltissimi casi non hanno allegato i prezzi massimi di cessione agli atti di vendita? Tutti conoscevano queste convenzioni”.

Per l’avvocato era possibile conoscere questa situazione ben prima della sentenza della Corte di Cassazione 18135 del 2015. “Questo principio era già stato affermato da una precedente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 12 gennaio del 2011, la numero 506. Come è stato possibile, soprattutto dopo il 2011, per il Comune rilasciare i nulla osta o per i notai firmare i rogiti senza prendere in considerazione le convenzioni che stabilivano i prezzi massimi di cessione? La norma era precisa”.

Il numero delle abitazioni realizzate con finanziamenti pubblici e poi vendute a prezzi di mercato è molto alto. Solo a Roma si stima siano 200 mila abitazioni. Case vendute a prezzi superiori a quanto stabilito dalla convenzione, anche 300 mila euro, il cui valore, in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione, è stato invece riconosciuto come ‘agevolato’. La maggior parte di queste compravendite è avvenuta prima del 2011, ma non mancano nemmeno quelle effettuate negli anni successivi.

Anche il meccanismo dell'affrancazione, per l'avvocato Perticaro, pone una serie di questioni. Tramite il versamento di determinate quote al Comune di Roma il propritario di queste abitazioni può svincolare il bene dal prezzo massimo di cessione stabilito dalla legge. "Però per poter liberare un immobile da tali vincoli l'amministrazione deve essere sicura che tutti i documenti relativi a tutti i comparti siano in regola: dal versamento degli oneri concessori, alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, alla verifica della veridicità delle relative richieste di certificati di abitabilità e agibilità fino alla verifica di tutti gli obblighi previsti dalla convenzione e dal disciplinare. Solo così si potrebbe affrancare. Un altro degli elementi che vanno valutati riguarda chi affranca il bene: queste persone hanno, o avevano al momento dell'acquisto, i requisiti per accedere a una casa in edilizia agevolata? Non bisogna dimenticare che sono stati spesi miliardi di euro di soldi pubblici che avrebbero potuto e dovuto dare una risposta all'emergenza abitativa. Quello che si potrebbe profilare è un danno erariale". 

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